Sabato mattina, dopo oltre due giorni di indiscrezioni, è stata pubblicata la circolare del ministero della Salute che recepisce l’indicazione del Comitato tecnico scientifico con la raccomandazione “perentoria” di somministrare il vaccino AstraZeneca/Oxford solo agli over 60 e la seconda dose con i vaccini Pfizer-BioNTech o Moderna. Si è chiuso così un nuovo, importante capitolo della storia della campagna vaccinale e in particolare del vaccino Oxford/AstraZeneca. 

Stiamo assistendo alla campagna vaccinale più rapida e massiva di tutte le epoche, e questo non poteva non generare problemi. Tuttavia, gli ostacoli principali non sono stati legati all’efficacia dei vaccini o all’approvvigionamento o alla distribuzione sul territorio nazionale. La difficoltà più grave è stata e rimane, di fatto, comunicativa. Ripercorrere le tappe principali della storia del vaccino Vaxzevria è allora fondamentale per capire le ultime decisioni del governo e tentare di non compromettere ulteriormente il successo di un’operazione da cui dipende in larga parte l’uscita dalla pandemia.

L’approvazione

Sin dalla fine dello dello scorso anno, il vaccino a vettore adenovirale di Oxford è stato presentato in modo molto diverso da quelli a mRNa: sui grandi media, alcuni virologi e immunologi hanno commentato come il trial clinico di fase 3, sulla base del quale era stata richiesta l’autorizzazione in emergenza, fosse meno solido rispetto a quelli di Pfizer-BioNTech.

Tra i principali limiti, il fatto che la popolazione anziana era meno rappresentata e che la distanza tra le dosi non era ben codificata (dalle 4 alle 12 settimane). Il trial clinico del vaccino di BioNTech era stato invece condotto in modo più rigido, con una buona rappresentanza di popolazione anziana, cioè la fascia più a rischio di Covid-19 grave e di morte.

L’autorizzazione, il 29 gennaio, dell’uso del vaccino di Oxford/AstraZeneca a partire dai 18 anni da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) non ha fermato i dubbi, tanto che diversi Paesi hanno deciso di dirigere le campagne vaccinali utilizzando il principio di precauzione: non avendo dati ritenuti sufficientemente solidi sulla popolazione anziana, Germania, Francia, Italia e altre nazioni hanno dedicato le dosi di Oxford/AstraZeneca a persone con meno di 55 anni.

In particolare, in Germania questo vaccino è stato somministrato soprattutto a personale sanitario (costituito prevalentemente da donne e giovani), mentre in Italia al personale scolastico (anche qui, prevalentemente donne e giovani) e forze dell’ordine (di nuovo, prevalentemente giovani), concentrando il vaccino a mRNA nella popolazione anziana, ai sanitari e alle fasce più vulnerabili.

Le prime segnalazioni

Era facilmente prevedibile che qualcuno, purtroppo, potesse morire casualmente a ridosso di una vaccinazione. Casualmente, non necessariamente causalmente. Così come era prevedibile che le segnalazioni di eventi avversi gravi e fatali sarebbero giunte, ovviamente, in persone giovani, statisticamente meno esposti alla morte rispetto a persone anziane o con patologie.

È avvenuto esattamente quanto previsto: pochi giorni dopo l’avvio campagna vaccinale, si sono registrate alcune segnalazioni di decessi a ridosso della vaccinazione. Le autorità italiane hanno deciso di agire come già accaduto con il caso Fluad nel 2014: blocco di alcuni lotti, campagna interrotta in metà Italia, grandi titoli sui giornali, schiere di docenti e personale scolastico preoccupate per la propria incolumità.

Le segnalazioni dal nord Europa

Trascorse alcune settimane, si è aperto un altro fronte. Dai paesi baltici e dopo poco anche dalla Germania, arrivano le segnalazioni di eventi avversi gravi rarissimi e inattesi: una porpora trombocitopenica associata a trombosi a livello di un seno cerebrale. I media italiani si sono allora concentrati solo sul fenomeno trombotico, mentre la polarizzazione del dibattito ha fatto il resto, tra chi dichiarava che “gli eventi trombotici sono frequentissimi nella popolazione generale, il vaccino è sicurissimo”, e altri che invece cavalcavano le paure. Ema, intanto, dichiarava che, in quel preciso momento storico di terza ondata, i benefici della vaccinazione superavano i rischi.

Dopo poco, senza attendere un intervento di Ema, i governi dei maggiori paesi europei hanno deciso per uno stop della campagna vaccinale con AstraZeneca/Oxford, chiedendo a Ema una ulteriore presa di posizione. Anche in questa vicenda, Ema, al termine di un’indagine, ha ribadito che le segnalazioni di Vitt (vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia - piastrinopenia trombotica autoimmune indotta da vaccino) erano monitorate strettamente e si trattava di un caso su 100mila dosi. A questo punto, l’Italia ha optato per “raccomandare preferenzialmente” il vaccino AstraZeneca/Oxford (da ora Vaxzevria) al di sopra dei 60 anni.

Le reazioni dei cittadini

Dopo mesi in cui Vaxzevria viene descritto come un vaccino poco efficace e, ora, anche poco sicuro, una quota rilevante di ultra-sessantenni non ha accettato questo vaccino. Arriviamo alle ultime settimane: nel nostro paese giungono sempre più dosi di altri vaccini e la macchina del generale Figliuolo inizia ad accelerare la corsa delle immunizzazioni.

Le categorie più a rischio sono ormai vaccinate, i reparti Covid iniziano a chiudere, i casi calano. Si pensa alle riaperture, al green pass. Molti giovani desiderano far parte di questa “rinascita”, vogliono mettere al sicuro il futuro del nostro paese. Ecco che, allora, alcune Regioni iniziano a chiedere di poter usare i vaccini a vettore adenovirale per i più giovani: nascono gli “open day”.

Nell’euforia collettiva, forse pochi ricordano che Ema ha continuato ad aggiornare i dati sul profilo di rischio individuale dei vaccini e forse pochi si accorgono che Ema mette a disposizione uno strumento decisionale importante, sviluppato dall’università di Cambridge: in quelle tabelle, disponibili da fine aprile, si legge che il rapporto rischio/beneficio individuale per una persona di meno di 40 anni, in condizioni di elevata circolazione virale come abbiamo visto a marzo, è favorevole; ma se la circolazione virale è bassa, allora il rapporto rischi/benefici individuale di un giovane diventa meno vantaggioso.

L’evento infausto, statisticamente prevedibile

Con la circolazione virale attuale che permette a quasi tutta l’Italia di essere in “zona bianca”, con meno di 50 casi/100mila abitanti su base settimanale, si fatica a ricordare le centinaia di decessi per Covid-19 che abbiamo visto solo due mesi fa. Ora le “antenne emotive” sono puntate verso la vita, verso il futuro. Scoprire che un vaccino, lo strumento principe di prevenzione, ha concorso alla morte di una ragazza di 18 anni, invitata a un open day organizzato dalle istituzioni, genera sgomento.

Questo ultimo capitolo si chiude con la conferenza stampa del ministro Roberto Speranza, assieme al generale Figliuolo, al coordinatore del Cts Franco Locatelli e al presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, in cui si danno nuove indicazioni: si farà la seconda dose con vaccini a mRNA per le persone con meno di 60 anni (“per principio di precauzione”, anche se i numeri sulla sicurezza della vaccinazione eterologa sono ancora ridotti), mentre gli ultra-sessantenni proseguiranno con Vaxzevria; chi ha più di 60 anni, fascia di popolazione in cui molti già avevano rinunciato a Vaxzevria e Janssen, potrà preferenzialmente iniziare il ciclo vaccinale con i vaccini a vettore adenovirale; a chi ha meno di 60 anni verrà somministrato necessariamente un vaccino a mRNA.

Era probabilmente l’unica conclusione possibile, in quanto moltissimi sanitari stavano ritirando la propria adesione alla campagna vaccinale: non è una scelta eticamente accettabile far firmare un consenso informato a un utente a cui non si consiglierebbe, in scienza e coscienza e in questo preciso momento storico, un determinato vaccino.

In tutta questa lunga cronistoria sui vaccini, sul loro profilo di sicurezza e sulle strategie che sono state adottate, rimane sullo sfondo, forse troppo, il vero obiettivo: ridurre la circolazione virale di Sars-CoV-2 nella popolazione, così da poter riprendere la vita, le attività e la socialità prima possibile.

Altri strumenti per uscire dall’emergenza?

I paesi che sono riusciti a controllare la pandemia, hanno usato altri due strumenti principali nel contrasto a Covid-19: un’azione massiva di testing e un tracciamento avanzato. Con l’avanzamento della campagna vaccinale abbiamo assistito alla decisa riduzione del numero di tamponi giornalieri effettuati (la media mobile dell’ultima settimana si attesta a circa 180mila tamponi, contro i circa 280mila di un mese fa), mentre il tracciamento è ancora inadeguato negli strumenti e nelle risorse impiegate, soprattutto in alcune province e regioni. 

Al contrario, proprio l’attuale circolazione più limitata del virus fanno di questa fase il momento ideale per spingere non solo sulla campagna vaccinale, ma anche - e in misura altrettanto decisa - su test e tracciamento, effettuando più tamponi per le indagini epidemiologiche, ricostruendo con precisione le catene dei contagi, sequenziando i casi al fine di mappare la prevalenza delle varianti del virus presenti nel paese e individuando precocemente nuove varianti. 

La maggiore contagiosità della variante Delta - già prevalente in Regno Unito e responsabile dell’impennata dei casi nel paese - e la possibilità dell’insorgere di ulteriori varianti restano infatti sfide aperte, anche di fronte ai risultati straordinari garantiti dai vaccini. Puntare all’obiettivo di “Covid zero” diviene realizzabile unicamente attraverso una strategia che integri la campagna vaccinale all’interno di un piano di investimenti in test e tracciamento avanzato.

La strategia combinata dovrebbe diventare prioritaria, per affrontare nuove varianti, evitare ulteriori morti e garantire una ripartenza al paese. E generare nuovamente fiducia per le istituzioni.

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