La rivolta per il giro di vite contro i free party, la minaccia di pene severe per gli organizzatori e i frequentatori, si è infiammata nel giro di poche ore. La Rete degli studenti medi e l’Unione degli universitari bollano le nuove norme, pubblicate ieri in Gazzetta ufficiale dunque già in vigore – «una misura liberticida e pericolosa». Molti atenei sono già in agitazione, potrebbero essere i primi a sperimentare le nuove regole.

Il principale passaggio contestato è quello che introduce nel codice penale una nuova fattispecie di reato, «invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica», con pene fino a sei anni.

La reazione delle opposizioni e dei movimenti giovanili era scontata. Resta da capire se Giorgia Meloni l’ha scientemente cercata e provocata per impegnare il dibattito pubblico su un tema classico della destra radicale (legge&ordine) e sviare l’attenzione dalle prossime delicate scelte del governo sui dossier economici.

«Resistenza costituzionale»

Fatto sta che la presidente compie già il miracolo di mettere d’accordo toghe e avvocati. L’associazione Magistratura Democratica lancia il grido di battaglia: «Se questo è il biglietto da visita del nuovo esecutivo in materia penale, ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale». Perché, spiega un comunicato, la nuova fattispecie «entra in diretta collisione con l’art. 17 della Costituzione, affidando la selezione tra l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (quello di riunione e manifestazione pubblica) e la consumazione di un gravissimo reato a giudizi prognostici collegati (...) a valutazioni soggettive». Accusa che infastidisce l’ex prefetto ora ministro dell’interno Matteo Piantedosi: dal Viminale filtra che «la norma non lede in alcun modo» i diritti sanciti.

Dall’altro lato il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Cajazza avverte che le intercettazioni degli organizzatori di feste, che secondo i retroscena Meloni avrebbe voluto escludere, escluse non sono: «Il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione che può arrivare fino ad un terzo della pena edittale che nei confronti degli organizzatori può andare dai tre ai sei anni». Insomma «questo reato prevede pene superiori ai cinque anni», e cioè il limite di pena dal quale le intercettazioni sono consentite.

Presto lo scontro arriverà in parlamento. Intanto va in scena il primo vero frontale fra governo e opposizioni. Nel Pd il più attento era stato l’ex ministro (anche della Giustizia) Andrea Orlando, già lunedì: occhio, aveva avvertito, la norma «può non valere solo per i rave». Il testo ufficiale ha confermato i peggiori sospetti. E così Enrico Letta lancia l’hashtag #NoArt434bis e chiede il ritiro del comma: «I rave non c’entrano nulla con una norma simile. È la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione», «è una minaccia preventiva contro il dissenso».

A Matteo Salvini non sembra vero di poter tuonare: «Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano». Anche se durante il suo anno al Viminale sono stati segnalati 55 rave: e non gli avevano smosso così tanto i precordi.

Costretti a inseguire

Ma il Pd si scatena e le altre opposizioni stavolta debbono inseguire la protesta. Il vicesegretario Peppe Provenzano dice «no allo stato di polizia». Riccardo Magi di +Europa parla di fattispecie penale «generica e discrezionale». Arturo Scotto di Art.1 chiama la piazza «contro questo scempio del diritto e del buonsenso». Il rossoverde Nicola Fratoianni teme «l’anteprima di leggi speciali» per i cortei sindacali, le mobilitazioni studentesche e dei comitati. E rivolge a Conte e Letta un appello per «una risposta forte e corale di tutta l’opposizione».

Solo che Conte, ritrovandosi scavalcato a sinistra, stavolta è meno reattivo: «Ben vengano azioni mirate a contrasto dell’illegalità», ha detto alla vigilia delle norme, augurandosi semmai «una parola chiara sulla sfilata delle duemila camicie nere di Predappio». Si scalda a rate il “liberale” Carlo Calenda: che lunedì ha quasi benedetto la norma («Il nome del reato “invasione” è surreale, ma è un’iniziativa condivisibile»), poi l’ha definita «mal scritta», infine ha ammesso che, pur essendo «contrario ai rave illegali», una nuova fattispecie di reato «si scrive ponderandola bene, non così a cavolo per fare “la dura”».

© Riproduzione riservata