Beirut, Libano. L’importante è arrivare in aeroporto con soldi in contanti. Dollari, euro, poco importa. Perché a ritirare banconote in valuta locale direttamente ai bancomat del paese si è soggetti al tasso di cambio ufficiale, secondo cui un dollaro vale 1.507 lire libanesi (un euro, 1.700). In realtà negli ultimi due anni la lira si è quasi del tutto svuotata del proprio valore, e ormai un dollaro viene scambiato sul mercato informale per circa 29mila lire, perfino per 30mila.

Ciò significa che un visitatore che ritirasse dai bancomat o pagasse con una carta di credito, essendo i circuiti ufficiali soggetti al tasso di cambio fisso ancora formalmente rispettato dalla banca centrale, si ritroverebbe con banconote che sul mercato reale valgono un ventesimo del proprio valore ufficiale. Oppure pagherebbe venti volte la cifra dovuta, nel caso di un pagamento con la carta. Ecco allora che spesso chi arriva sbarca con le tasche piene di contanti, pronto ad aiutare amici e parenti residenti in Libano.

I cambiavalute

Riad Salameh, governatore della banca centrale del Libano (AP Photo/Hussein Malla, File)

I cambiavalute illegali si aggirano per tutti i quartieri della città, pronti a rifornire libanesi e stranieri con sacchettoni di lire locali. Basta un messaggio su WhatsApp, e in pochi minuti si presentano sull’uscio. I residenti della capitale dicono che, fino all’estate scorsa, mantenevano una parvenza di segretezza, cioè erano restii a cambiare il denaro in bella vista in mezzo alla strada. Ma quella che all’inizio della crisi poteva sembrare un’anomalia, ormai è la regola di tutti i giorni. E nessuno fa più finta di doversi nascondere.

Arrivano, annunciano il tasso di cambio del giorno, e scaricano pacchi di banconote libanesi, milioni e milioni che valgono poche decine di dollari. Ogni giorno il valore cala ancora di più: 25mila, 26mila, 27mila, 29mila.

Le autorità giudiziarie se la sono presa con dei giornali online che seguono l’andamento del tasso di cambio informale: sarebbero colpevoli, secondo il governo, di alimentare l’inflazione e la svalutazione. Solo pochi giorni prima di Natale il governatore della banca centrale, Riad Salameh, ha ammesso in un’intervista che il tasso di cambio fisso “non è più realistico”. I libanesi se n’erano già accorti da un pezzo.

Svalutazione

La filiale di una banca a Beirut, coperta di scritte in arabo "Riad è un ladro. Ladri", con riferimento a Riad Salameh, governatore della banca centrale (AP Photo/Bilal Hussein)

Inevitabilmente, l’inflazione segue a ruota la svalutazione, adeguandosi con qualche tempo di ritardo, tanto più che il Libano è notoriamente un paese importatore. In ottobre l’inflazione ha raggiunto il 174 per cento rispetto all’anno prima – nel dettaglio più 304 per cento per il cibo, più 508 per cento per i trasporti, più 271 per cento per i servizi.

Da qui il divario sempre più allargato fra chi è pagato in dollari, e ha modo di procurarsene dall’estero, e chi invece guadagna e vive soltanto di valuta nazionale. Cioè l’80 per cento della popolazione che ormai vive in povertà.

I primi, la minoranza che vive nel Libano dei dollari, sono in grado di rimanere sempre sulla cresta dell’onda. Cambiano i dollari progressivamente, rispetto ai tassi del giorno sul mercato informale, così da rimanere immuni alla svalutazione. Siccome l’inflazione, per quanto fuori controllo, viene trainata dalla perdita di valore della moneta, questo gruppo di libanesi e residenti stranieri vede il proprio potere d’acquisto irrobustirsi. Gli altri, la stragrande maggioranza, patiscono la velocissima svalutazione della moneta.

Pagati in euro

Un manifestante anti-governativo davanti alla polizia del Libano, a Beirut (AP Photo/Hussein Malla, File)

Ecco allora che i dipendenti di Nazioni Unite e organizzazioni internazionali, che ricevono i pagamenti in dollari, oggi viaggiano in taxi spendendo l’equivalente di un euro, mangiano in ristoranti di lusso spendendone una decina, fanno la spesa con molto meno di quanto servisse prima della crisi.

Di contro, i loro taxisti hanno storie come quella di George, libanese sulla quarantina, che è stato nell’esercito 21 anni prima di lasciare perché il suo stipendio non veniva adeguato nel suo valore nominale, e dunque non valeva più nulla. «Ci vorrebbero dieci milioni al mese per sopravvivere, l’equivalente di 300 dollari», dice. «Se va bene da taxista ne faccio un paio».

I proprietari del giornale Orient Le Jour, una facoltosa famiglia di estrazione maronita, hanno da poco deciso di pagare i giornalisti in euro direttamente in Francia. Allo stesso modo, i senatori della politica libanese, perlopiù milionari, si prendono cura dei loro affiliati. «Noi non sentiamo il tracollo valutario, Joumblatt è generoso e si prende cura di noi», dice a Beirut un bodyguard del leader druso Walid Joumblatt.

Chi è privilegiato è anche meglio equipaggiato per affrontare le altre sfide della crisi, come i continui blackout di elettricità, che per motivi di pressione fanno sì che anche l’acqua esca dai rubinetti a singhiozzo. Si procurano batterie o si attaccano ai generatori di quartiere, gestiti da organizzazioni private.

Lollards

A Beirut, fuori dalla filiale di una banca, i manifestanti tengono i poster con le foto imbrattate di Riad Salameh, governatore della banca centrale del Libano, e di Makram Sadir, segretario generale della federazione delle banche libanesi. Nella scritta in arabo si legge: «Avete rubato il mio futuro» (AP Photo/Bilal Hussein)

Verso metà mese la banca centrale libanese, che applica severe misure di controllo dei capitali per evitare la fuga dei pochi dollari rimasti, ha adeguato leggermente il tasso di cambio a cui permette di ritirare lire da conti libanesi denominati in dollari.

Chi ha dollari in un conto libanese può prelevare lire (non dollari, per carità) al tasso di cambio di un dollaro per 8.000 lire, non più 3.900, perdendo cioè “solo” due terzi del valore rispetto a quello del mercato reale. In gergo libanese, i dollari bloccati nelle banche nazionali sono detti “lollards”, dall’inglese “dollari che fanno ridere”. Ma la verità è che a ridere è soltanto un gruppo di pochi privilegiati.

Intanto il ministro dell'Interno libanese, Bassam Mawlawi, ha confermato che le elezioni parlamentari si terranno il prossimo 15 maggio.

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