Il presidente americano Joe Biden ha annunciato la morte del leader di al Qaida, l’egiziano Ayman al Zawahiri. La Cia aveva rintracciato la famiglia del capo jihadista a Kabul dall’inizio dell’anno e poco dopo lui stesso è arrivato nella capitale afgana controllata dai Talebani. L’attacco è stato eseguito alle sei e venti di mattina di sabato 30.

Al Zawahiri passava molto tempo sul balcone della palazzina a pochi passi dall’ex ambasciata inglese, nel quartiere Wazir Akbar Khan, zona residenziale dove vivono anche i comandanti della polizia di Kabul, nominati dalla rete Haqqani, la fazione più estremista dei Talebani strettamente legata al terrorismo di al Qaida. Uomini sul terreno, forse ex membri dell’esercito afgano sotto copertura, hanno avuto il delicato compito di verificare l’identità del capo jihadista ucciso da due missili Hellfire lanciati da un drone.

Minaccia globale

Come ipotizzato dall’anno scorso, la riconquista talebana dell’Afghanistan ha permesso ad al Qaida di tornare ad operare liberamente nel paese, con un santuario da cui coordinare le attività internazionali, nonostante si tratti di una chiara violazione degli accordi di Doha. I Talebani si erano infatti impegnati a non offrire sostegno e ospitalità a gruppi terroristi, ma i legami degli Haqqani rendevano poco credibili tali promesse.

Negli ultimi anni, comunque, gli Stati Uniti e gli alleati sono stati in grado di eliminare numerosi capi di al Qaida, tra cui il figlio di Bin Laden, Hamza, nel 2019, il leader nel subcontinente indiano Asim Umar, quello nella penisola arabica, vari leader di Hurras al Din in Siria e ben tre capi di al Qaida nel Maghreb Islamico.

Al Zawahiri era già stato dato per morto nel 2020, per cause naturali, ma evidentemente la notizia non corrispondeva a verità. L’anziano emiro si è sempre nascosto nella regione tribale al confine tra Afghanistan e Pakistan, dopo l’11 settembre. Nel gennaio 2016 gli Stati Uniti lo localizzarono nella valle del Shawal, in Waziristan, ma i droni uccisero solo alcune sue guardie del corpo. In seguito, il generale americano Kenneth F. McKenzie aveva affermato che al Zawahiri si trovasse in Afghanistan orientale e per il ricercatore Asfandyar Mir poteva nascondersi nella provincia di Paktika, sotto la protezione del clan tribale Haqqani e dei Talebani pakistani (Ttp).

Secondo il report di luglio delle Nazioni Unite sull’analisi del terrorismo islamista, al Qaida potrebbe tornare a costituire la principale minaccia jihadista globale. La morte di al Zawahiri apre incognite sul futuro dell’organizzazione fondata da Bin Laden. Il comitato Hittin formato da figure storiche funge da organo di coordinamento, che probabilmente influenzerà la scelta del successore dell’emiro egiziano.

Uno dei potenziali candidati, Abu Muhammad al Masri, è stato ucciso dal Mossad nel 2020 a Teheran, dove viveva protetto dai Guardiani della Rivoluzione iraniani. Anche Saif al Adl, il più papabile al momento, si trova in Iran da dove impartisce disposizioni alle varie filiali regionali. Se la guida di al Qaida fosse affidata a lui, c’è da chiedersi se potrà restare a Teheran senza suscitare imbarazzo al regime sciita tanto quanto ai jihadisti sunniti.

I rapporti con i Talebani

Taliban fighters guard at the site of an explosion in Kabul, Afghanistan, Saturday, June 18, 2022. Several explosions and gunfire ripped through a Sikh temple in Afghanistan's capital. (AP Photo/Ebrahim Noroozi)

L’Afghanistan, tuttavia, potrebbe non essere più un’opzione di sicurezza praticabile. Sarà interessante vedere se il nuovo emiro giurerà fedeltà al leader dei Talebani quale “Capo dei credenti”, come fecero i suoi predecessori Bin Laden e al Zawahiri. La protezione del movimento pashtun, soprattutto nei territori tribali, resta un elemento fondamentale per le gerarchie di al Qaida.

È possibile però che la morte di al Zawahiri porti a una resa dei conti o almeno a frizioni tra i clan Talebani, mettendo in discussione la storica alleanza. Secondo il report delle Nazioni unite, vi sono fino a quattrocento mujaheddin di al Qaida nel subcontinente indiano che servono nell’esercito talebano, principalmente originari di Bangladesh, India, Myanmar e Pakistan. Proprio in quest’ultimo paese è in corso un tentativo di pacificazione con i Talebani pakistani, che potrebbe ulteriormente indebolire i rifugi di al Qaida nelle regioni di confine.

La successione

Non sono molti i possibili contendenti di Saif al Adl alla guida del gruppo. Uno è Abdal Rahman al Maghrebi, genero marocchino di Zawahiri che si occupa della comunicazione per al Qaida ma anche delle operazioni in Afghanistan e Pakistan. Anche lui si troverebbe in Iran sotto protezione del regime. Altri leader di spicco sono l’algerino Yazid Mebrak, che guida al Qaida nel Maghreb Islamico, e il somalo Ahmed Diriye, a capo di Al Shabaab in Somalia. Si tratta comunque di uomini con un’esperienza ventennale di guerra clandestina e terrorismo.

Competizione con Isis

Nel 2013 al Zawahiri perse il controllo della filiale irachena fondata dal giordano al Zarqawi, poi divenuta Stato Islamico dell’Iraq e più tardi Isis. Anche in Siria, i membri di al Nusra inizialmente dissero no allo scisma da al Qaida, ma poi seguirono Abu Muhammad al Julani, un terrorista siriano che si è convertito con successo in politico islamista nella provincia ribelle di Idlib.

Al Qaida può contare su almeno otto affiliati dalla Somalia al Sahel, nel subcontinente indiano e nel Caucaso. La corsa alla conquista dell’Africa vede l’accesa competizione con lo Stato Islamico, che mantiene una presenza bellicosa anche in Afghanistan nonostante la pressione talebana. L’Isis ha assegnato la gestione di ciascuna regione a un ufficio: al Siddiq per l’Afghanistan e il sudest asiatico, al Karrar per la Somalia, il Mozambico e il Congo.

Per l’Africa subsahariana è stato creato l’ufficio al Furqan, che coordina lo Stato Islamico nel Grande Sahara, mentre per Libia e Tunisia c’è l’ufficio Al Anfal. Questa ripartizione permette un coordinamento delle strategie e la distribuzione delle risorse. Specialmente nel Sahel, l’Isis ha ottenuto risultati importanti, ma al Qaida (Jnim) si sta espandendo verso Benin, Burkina Faso e Niger.

Lo Stato Islamico ha perso due “califfi” dal 2019, Abu Bakr al Baghdadi e Abu Ibrahim al Hashimi al Qurashi, ucciso in Siria nel febbraio 2022. Il suo successore, Abu al Hasan al Hashimi al Qurashi, la cui identità non è certa, ha ereditato un’organizzazione indebolita e secondo alcune fonti sarebbe stato arrestato a Istanbul a maggio, ma la Turchia non ha confermato tale notizia. Al Zawahiri, invece, è riuscito a guidare al Qaida per undici anni prima di essere trovato.

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