Il libro Il tempo e l’acqua di Andri Snær Magnason è pubblicato da Iperborea con la traduzione di Silvia Cosimini.Questo è un estratto


Se qualcuno nel 1919 avesse guardato avanti e si fosse posto l’obiettivo di organizzare la nostra vita sul pianeta nei futuri cent’anni, sarebbe sembrata decisamente un’impresa impossibile. Occuparsi di sette miliardi di abitanti, fondare le Nazioni Unite, dare da mangiare e da vestire a tutti, dare case e istruzione, interconnettere il mondo con telefoni e computer.

Trovare energia, mezzi di trasporto e occupazione per così tanta gente. Fondare migliaia di orchestre sinfoniche, curare malattie prima incurabili. Abbiamo interconnesso il mondo, moltiplicato il flusso di informazioni e l’accessibilità all’intrattenimento. Ma siamo più lontani che mai dalla natura, se la natura può essere quantificata con il tempo trascorso da un bambino a giocare all’aperto.

All’aumentare della realtà virtuale, la realtà reale è diminuita. Ed è vero che i paesi occidentali hanno ridotto le emissioni, ma in molti casi la produzione e l’inquinamento sono stati soltanto spostati altrove. Considerato lo stato di salute dell’atmosfera e del pianeta, i cambiamenti più grandi avvenuti negli ultimi trent’anni sono un peggioramento.

Nell’estate del 2019 sono state rilevate temperature record ovunque, ci sono stati incendi nei boschi della Siberia e la siccità ha minacciato gli abitanti dell’Africa, dell’India e di altri paesi. Prima il timore era che i giacimenti mondiali di idrocarburi si esaurissero; adesso le ricerche dimostrano che se li consumeremo tutti brucerà il mondo intero, perché più emissioni di CO2 produciamo, più probabilità ci sono di arrivare al punto di non ritorno, quel momento in cui si innescheranno dei processi che il genere umano non riuscirà a gestire.

La sfida di una generazione

Per impedire il disastro climatico globale dovremo ridurre a zero le emissioni entro il 2050. Nei prossimi trent’anni dovremo cambiare le nostre abitudini di consumatori e attuare una rivoluzione radicale nella produzione di energia e nei mezzi di trasporto. Se 350 ppm è la soglia massima accettabile di concentrazione di CO2 e oggi siamo a 415 ppm, che aumentano di 2-3 ppm all’anno, anche se riusciremo ad azzerare le emissioni occorrerà riassorbire… 1000-2000 giga tonnellate di CO2 già presenti nell’atmosfera. Tanto per inserire il dato in un contesto, equivalgono alle emissioni di CO2 prodotte dalle attività umane in trent’anni.

Quando gli attuali allievi delle ultime classi delle elementari avranno la mia età e la mia generazione sarà in pensione dovremo aver raggiunto questo obiettivo. Si tratta di salvare la Terra: è un compito al quale non ci si può sottrarre. Vivendo sotto la minaccia del caos climatico, non possiamo più chiedere ai bambini e ai ragazzi di oggi «che cosa vuoi fare da grande?» ma «che cosa dovrai fare da grande?» Non che questo sia completamente negativo: un’intera generazione sentirà di avere un ruolo prezioso, uno scopo importante nella vita. Chi vorrà «trovare se stesso» dovrà magari rimandare la ricerca di una trentina di anni, almeno finché la Terra non sarà al sicuro.

In Islanda abbiamo bonificato le zone umide su grande scala, scavando canali di drenaggio per una lunghezza totale di trentatremila chilometri, quasi quanto la circonferenza terrestre. Le emissioni delle paludi drenate in Islanda sono superiori a quelle dell’industria automobilistica e dell’industria aeronautica messe insieme: circa otto milioni di tonnellate all’anno. Per un confronto, in Islanda, le automobili emettono un milione di tonnellate di CO2. Quando la terra si prosciuga inizia la decomposizione, causando l’ossidazione dei composti organici che si sono raccolti nel suolo per migliaia di anni. Ciò che a una generazione era sembrato inutile risulta invece benefico, e con l’idea di «migliorare la terra» abbiamo in realtà creato danni. In un articolo del 1970, «Guerra alla nazione», Halldór Laxness scriveva degli eccessivi sistemi di drenaggio e lanciava una provocazione: «Non è forse venuto il momento di premiare chi li ricopre di nuovo di terra?»

In Islanda, circa il 70 per cento dei canali di drenaggio non è utilizzato per la coltivazione dei campi.

Gli scienziati sono giunti alla conclusione che la proposta di Laxness di chiudere i canali e ripristinare le zone umide sarebbe il contributo più importante che l’Islanda potrebbe dare alla soluzione del problema climatico.

Eliminatori di carbonio

Nel XX secolo sono state create gran parte delle infrastrutture che oggi diamo tanto per scontate da non notare più: forniture elettriche e idriche, reti fognarie, impianti di riscaldamento, reti telefoniche, reti viarie. La diga idroelettrica sul fiume Elliðaá fu costruita l’anno in cui nacque mio nonno Björn, il 1921: non è passato molto tempo dall’introduzione dell’elettricità. Nel corso dell’esistenza del nonno, la potenza prodotta in Islanda è passata da 1 megawatt a 2700. All’inizio del XX secolo arrivarono in Islanda persone con nuove professioni mai sentite prima: ingegnere, macchinista, radiotelegrafista, centralinista. Erano pionieri della tecnologia dei loro tempi.

Adesso sul nostro elenco telefonico ci sono tre utenti che si autodefiniscono «eliminatori di carbonio». È una professione che dovrà diffondersi sempre di più. I progressi maggiori da compiere nel XXI secolo dovranno riguardare la cattura di CO2 e il suo smaltimento o la messa a punto di metodi per estrarlo direttamente dall’aria e renderlo un bene utile.

Sulla brughiera della Hellisheiði cominciano a muoversi i primi «eliminatori di carbonio» della storia, come fecero i fratelli Wright con l’aviazione tempo fa. La centrale geotermica di Hellisheiði rilascia circa ventimila tonnellate di CO2 all’anno. Nel 2012 si è valutata la possibilità di trasformare CO2 in roccia. Il metodo consiste nel disciogliere CO2 nell’acqua, creando una specie di acqua gassata, pompare la soluzione nel suolo e lasciarla reagire con il basalto.

Il risultato è la formazione di spato d’Islanda, un carbonato di calcio cristallizzato (CaCO3) che è poi la stessa sostanza utilizzata dai coralli per la costruzione dello scheletro. Gli scienziati non avevano saputo prevedere se la reazione chimica sarebbe avvenuta nell’arco di qualche anno o di qualche millennio, ma hanno constatato che la roccia si era formata in pochi mesi, e le perforazioni hanno dimostrato che l’aria era diventata roccia scintillante.

Nel 2014, le tonnellate pompate nel basalto sono state 2400; nel 2017 erano già diventate 10.000. È un metodo impiegabile ovunque il sostrato roccioso sia costituito da basalto, compresi i fondali marini. Procedimenti simili potrebbero forse essere utilizzati per ottenere materiale da costruzione, del cemento che catturi CO2 invece di rilasciarne. Significherebbe che noi esseri umani abbiamo imparato a costruirci la casa con lo stesso materiale usato dai coralli e dalle farfalle di mare.

Nella sede della Hellisheiði c’è un piccolo capanno in cui un gruppo di biologi sta cercando un sistema per estrarre diossido di carbonio direttamente dall’atmosfera. Per il momento il metodo messo a punto è piuttosto costoso, ma ogni anno si fanno passi avanti e nel 2017 il gruppo è riuscito a sottrarre direttamente dall’aria cinquanta tonnellate di diossido di carbonio. È una quantità che equivale più o meno a quella delle emissioni di un volo aereo di tre ore, o a quella delle emissioni prodotte da tre islandesi in un anno. L’obiettivo è raggiungere le centomila tonnellate, ma per impedire il riscaldamento globale occorre che metodi simili, insieme alla riforestazione, riescano a legare un milione di volte questo volume di emissioni, e al momento non c’è modo di valutare quale soluzione sarà la migliore o prevarrà sulle altre.

La valle dei sogni

Le soluzioni sono molte, alcune bellissime. Ho conosciuto un uomo che aveva ripristinato le zone umide nei suoi terreni. Mi ha parlato della velocità con cui la natura ha ripreso vita: «Ho coperto di terra il canale e ho creato uno stagno. L’estate dopo sono arrivate le strolaghe rosse, e ho già visto cinquanta specie di uccelli dove prima c’erano soltanto dei canali e un campo incolto.»

Molte soluzioni aumentano il benessere di uomini e animali, migliorando le condizioni di vita, i trasporti, le infrastrutture. Comportano azione, presa di coscienza, responsabilità.

La soluzione in parte è implicita in quello che ci hanno sempre detto le nostre nonne: finire quel che abbiamo nel piatto, riutilizzare i vestiti dei fratelli e delle sorelle maggiori, rammendare i calzini e sapersi accontentare di poco. Spesso la soluzione ci richiede il sacrificio di fare qualcosa per gli altri senza chiedere niente in cambio: creare gruppi e associazioni che si prendano cura del territorio immediatamente circostante, fondare squadre di soccorso e società glaciologiche. Possiamo trarre insegnamento dal passato e trovare quel punto di equilibrio e felicità al di là della privazione e al di qua del consumismo.

Nel caso di mio nonno Árni, quel punto si trovava senza dubbio a Himnaríki sulla Draumadalur, il suo «paradiso nella valle dei sogni».

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