Le restrizioni imposte dalla pandemia nel corso del 2020 hanno avuto uno straordinario impatto sulla domanda di energia e, quindi, sulle emissioni da gas serra. Con l’allentamento dei lockdown globali, l’economia ha ripreso provocando un temuto rimbalzo delle emissioni fin oltre i livelli pre-pandemici (+2 per cento nel dicembre 2020 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia). Gli sforzi per rallentare prima e fermare poi la circolazione del virus rappresentano comprensibilmente la maggiore preoccupazione dei governi, unita ad aiuti che prevengano la caduta delle economie.

L’emergenza va affrontata, ma è questo il momento di pianificare adeguatamente per poter ricostruire meglio. È il principio espresso tra gli altri anche dal presidente americano Joe Biden del «Build Back Better» e appoggiato dalla visione europea del Recovery Fund. Una ripartenza che, proprio come indicato dalla Presidentessa della Commissione Europa, non potrà che fondarsi su principi di sostenibilità e crescita verde. A dispetto delle visioni condivise, la strada affinché questi obiettivi vengano centrati è ancora molto lunga. È la conclusione di un recente studio dell’Università di Oxford e del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) che ha lanciato il Global Recovery Observatory.

I ricercatori hanno analizzato le misure varate dai singoli Governi nel periodo settembre 2020-gennaio 2021 (ultimo aggiornamento) e le hanno classificate in base al loro contenuto «verde». Il quadro che ne deriva è quello di un mondo che reagisce all’emergenza senza però dotarsi di sistemi di preparazione adeguati. Su un totale di 14.6 trilioni di dollari annunciati come fondi recovery dalle 50 più grandi economie mondiali nel 2020, solo il 2.5 per cento è destinato a misure verdi. Questi dati non tengono conto dei fondi della Commissione Europea ad oggi, i quali dovranno essere inclusi nei budget dei singoli Paesi a piani approvati. Una «buona ricostruzione» non è aspetto di poco conto, ma anzi denuncia la capacità dei governi di guardare oltre l’emergenza e posizionarsi come nuovi leader.

E l’Italia?

Il rapporto inserisce l’Italia tra quei Paesi con «potenziale di azione»: il 2 per cento delle spese di recovery sono “green”. Il piano che il Governo Draghi sta redigendo in questi giorni da presentare alla Commissione Europea dovrà contenere consistenti misure che fanno ben sperare in questo senso. Su 7 misure considerate (compreso il decreto Rilancio), quattro consistono in incentivi per la mobilità sostenibile (biciclette, monopattini e automobili elettriche, ibride o a idrogeno), mentre solo due guardano all’incremento dell’efficienza energetica in termini di isolamento termico e ammodernamento dei piccoli comuni (con meno di 1.000 abitanti). Uno dei provvedimenti rientra nel più ampio Decreto Rilancio da 155 miliardi e prevede una deduzione fiscale del 110 per cento per installazione di impianti fotovoltaici e per interventi che riducano il rischio sismico. Tuttavia, non è chiaro se esista uno standard energetico obbiettivo o se sia necessario rispettare requisiti e criteri ambientali precisi. La chiarezza aiuterebbe a raggiungere miglioramenti coerenti e ad avviare il Paese su un cammino di crescita veramente verde.

L’analisi offerta dal rapporto Oxford-Unep descrive fasi dell’emergenza ancora acute, ma ci offre il materiale per un monitoraggio attento. Il rapporto identifica cinque aree urgenti di intervento sulla base delle politiche che i vari Governi hanno varato nel 2020: energia verde, mobilità sostenibile, edifici intelligenti e sostenibili, capitale naturale e ricerca e sviluppo. Il Recovery Fund ci dà la possibilità di proporre interventi e misure che guardino al lungo termine più che alla gestione quotidiana di disastri ed emergenze. In particolare, ci offre gli strumenti per avviare una ripartenza che guardi sì alla sostenibilità ambientale trasformando il nostro modo di rapportarci alla natura e garantendo prosperità e sviluppo inclusivo. Ricostruire meglio non significa semplicemente avviare una transizione (riconversione del sistema energetico, valorizzazione di professionalità a basso impatto ambientale, tecnologia), bensì guardare allo stretto rapporto uomo-natura per valorizzare il capitale naturale e per includere il clima come variabile decisiva nelle nostre decisioni. Una trasformazione che deve somigliare ad uno «Stato Nascente» in grado di plasmare un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto.

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