Dopo quasi due anni fermi sulla banchina del porto tunisino di Sousse, i rifiuti esportati dall’azienda Sviluppo risorse ambientali Srl (Sra), con l’autorizzazione dei tecnici della regione Campania, ritornano dove sono partiti.

È questo l’accordo di collaborazione negoziato lo scorso 28 dicembre a Tunisi tra il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio e il presidente tunisino Kais Saied. E poi, il 5 gennaio a Napoli, tra il governatore della Campania Vincenzo De Luca e l’ambasciata tunisina a Roma.

Sul tavolo della trattativa, secondo quanto riferito dai media tunisini, anche il dossier migratorio e nuovi investimenti in Tunisia in settori strategici come quello dell’energia prodotta dalla combustione dei rifiuti.

La Farnesina conferma a Domani la cooperazione tra le amministrazioni competenti, ma smentisce l’esistenza di un collegamento tra il dossier dei rifiuti e quello migratorio.

Andata e ritorno 

Dai documenti visionati da Domani, 213 dei 282 container carichi di circa 6.000 tonnellate di rifiuti urbani, partiti dal porto di Salerno tra il 22 maggio e il 20 luglio 2020, dovrebbero rientrare il 22 febbraio nello stesso porto.

Gli altri 69, scaricati in un deposito nelle campagne di Sousse, sono andati a fuoco in un incendio scoppiato lo scorso 29 dicembre, all’indomani della visita di Di Maio. Una volta rimpatriati a Salerno, i primi 213 container saranno gestiti da una società pubblica in liquidazione, la Ecoambiente Salerno spa, rilevata nel 2020 da un altro ente pubblico, l’Ente d’ambito per  la gestione dei rifiuti in provincia di Salerno.

I container saranno prelevati dal porto e trasportati nell’area militare di Persano, dove sono state stoccate negli anni anche le ecoballe, in vista del loro «trasferimento presso impianti di trattamento finale fuori regione».

Su questo punto il vicepresidente della regione Campania, Fulvio Bonavitacola, si limita a dire che a determinare il luogo finale sarà l’operatore incaricato in una seconda fase. Secondo la consigliera regionale del Movimento 5 stelle Maria Muscarà, la destinazione finale dei rifiuti potrebbe essere il termovalorizzatore di Acerra o un inceneritore di altra regione. 

I costi

I costi del trasporto, stoccaggio e della caratterizzazione saranno anticipati dalla società pubblica Ecoambiente Salerno, che è debitrice della regione, e saranno poi recuperati sull’azienda Sra, esportatrice dei rifiuti in Tunisia, attraverso la riscossione della fidejussione prestata durante il rilascio delle autorizzazioni, si legge nel decreto. Fidejussione, tuttavia, insufficiente a pagare tutte le operazioni e i due anni di sosta dei rifiuti sulla banchina del porto di Sousse. 

Anche il titolare dell’azienda Sra, Alfonso Palmieri, esclude tale possibilità e ribadisce che i rifiuti esportati, caratterizzati con il codice 191212 (rifiuti quindi prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani) non erano «né tossici, né pericolosi ed erano accompagnati da tutta la documentazione necessaria».

Documenti che, secondo Bonavitacola, sarebbero «falsi e avrebbero fatto cadere in errore i tecnici» i responsabili delle autorizzazioni all’esportazione dei rifiuti. In ogni caso, aggiunge, «si tratta di una vicenda che riguarda esclusivamente due aziende private».

Proprio il contenzioso tra la società esportatrice e la regione, che si rimbalzano la responsabilità, ha ritardato le operazioni di rimpatrio.

Scandalo tunisino

Fethi Belaid/Pool via AP

I rifiuti partiti dalla Campania sono stati al centro di un grande scandalo politico in Tunisia che ha portato all’arresto dell’ex ministro dell’Ambiente Mustapha Aroui e di diversi funzionari.

In Italia ci sono due inchieste aperte dalle Direzioni distrettuali antimafia di Salerno e di Potenza, competente per il Vallo Di Diano, dove ha sede la società campana Sviluppo risorse ambientale.

Anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Stefano Vignaroli (M5s), ha dato avvio alle audizioni su questa vicenda e conferma che «probabilmente non si tratta solo di un traffico di rifiuti ma sta emergendo una rete articolata di relazioni che hanno permesso quanto  è accaduto». 

Le 7.893 tonnellate arrivate nel porto di Sousse sono state spedite, secondo le carte, perché le procedure di riciclo in Tunisia sono più convenienti. In realtà i rifiuti arrivati in nord Africa non sarebbero riciclabili: si tratterebbe secondo i tunisini degli «scarti finali della selezione meccanica dei rifiuti urbani».

L’azienda fantasma che li ha ricevuti, la Soreplast suarl di Moncef Nourredine, il cui contratto era stato ceduto dall’azienda calabrese Ecomanagement spa alla società campana, avrebbe provveduto a smaltirli in discarica. Per questo sono stati fermati e posti sotto sequestro dalle autorità tunisine. 

Chi autorizza l’esportazione? 

Dalle carte consultate da Domani emerge, inoltre, un’anomalia nella procedura. Spetterebbe ai rappresentanti della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transnazionali di rifiuti – i cosiddetti focal point italiano e tunisino –  autorizzare o rifiutare questo genere di spedizioni transfrontaliere di rifiuti.

Invece la procedura non è stata rispettata: i tecnici e funzionari regionali Antonello Barretta e Vincenzo Andreola non si sono rivolti al focal point tunisino della Convenzione di Basilea ma chiesto indicazioni al Consolato tunisino di Napoli, il quale ha indicato come autorità competente, l’Anged, un’agenzia pubblica tunisina.

Eppure l’export dei rifiuti non è certo una pratica nuova per la regione Campania. Come mai i tecnici non conoscevano la procedura da seguire? Su questo punto, il numero due di De Luca, Bonavitacola, risponde che ha piena «fiducia nell’operato dei suoi tecnici».

Se si trattasse effettivamente di scarti dei rifiuti urbani non recuperabili, come affermano le autorità tunisine, la vicenda metterebbe in luce non solo un presunto traffico internazionale di rifiuti, ma anche l’incapacità della regione Campania – già condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea – e dell’Italia di smaltire gli scarti finali dei rifiuti urbani e di avere una seria programmazione sull’intero ciclo. 

Lo conferma un ispettore dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa): «L’Italia e la regione Campania hanno una carenza di impianti finali. Se non hai sbocchi dove conferire il 191212, si innescano questi trasferimenti verso l’estero dove i costi sono minori».

Anche Daniele Redaelli, consulente nell’ambito della gestione dei rifiuti, spiega: «I prezzi delle discariche sono quasi raddoppiati in Italia negli ultimi cinque anni. Alcune aziende cercano luoghi dove smaltire a prezzi inferiori».

Carenza di impianti

Le relazioni dell’Arpa Campania e dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) del 2018, 2019 e 2021 evidenziano, inoltre, un aumento costante degli scarti derivanti dai rifiuti speciali non pericolosi – destinati a inceneritori, cementifici o smaltimento in discarica, come quelli esportati in Tunisia – e anche chi lavora nel settore rifiuti lamenta l’incapacità degli impianti di far fronte a questo aumento. 

Ma la carenza degli impianti deriva anche dall’assenza di una seria attività di programmazione politica, denuncia Muscarà (M5s): «Il ciclo dei rifiuti non si chiude in Campania perché manca una pianificazione che la giunta De Luca non vuole fare. Mancano gli impianti per la gestione dei rifiuti e i pochi che ci sono vanno in saturazione. Le compostiere di comunità o i piccoli impianti di compostaggio potrebbero offrire una prima soluzione sostenibile almeno per la gestione dell’organico ma spesso i sindaci non hanno questo tipo di visione». 

C’è da ricordare che il principio guida comunitario sul tema dovrebbe essere la cosiddetta “gerarchia dei rifiuti”. In base alla quale, al primo posto tra le soluzioni auspicate, si trovano le politiche di prevenzione e quindi di riduzione del rifiuto, seguite dal riciclo, dalla termovalorizzazione e, solo come ultima opzione, lo smaltimento in discarica.

«C’è la necessità di ridurre gli imballaggi, di investire sulla prevenzione e poi sugli impianti finali. Un residuo finale ci sarà sempre ma bisogna evitare che sotto il codice 191212 ci vada di tutto», spiega l’ispettore Arpa. 

Il Pnrr potrebbe servire proprio a questo: portare avanti politiche di riduzione dei rifiuti e degli imballaggi, con leggi ad hoc; costruire una filiera di prossimità per responsabilizzare i cittadini e avviare forme di gestione circolare dei rifiuti, con meno interessi e meno inquinamento.

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