Nel mentre nei palazzi della politica va in scena l’ennesima crisi di governo, nella società le preoccupazioni, le ansie e le paure per il futuro e per la stabilità economica si moltiplicano. Il 65 per cento degli italiani prevede, per i prossimi sei mesi, un peggioramento della situazione economica del Paese, con un aumento del numero di persone in difficoltà o che perderanno il lavoro. Solo l’8 per cento immagina una situazione di ripresa e di rimbalzo. La società italiana si avverte indebolita e anche la condizione economica delle famiglie inizia a subire dei contraccolpi. L’Italia è spaccata nettamente in due: metà delle famiglie (51 per cento) prevede per il 2021 una situazione economica in qualche modo di tenuta; l’altra metà (il 49 per cento) prevede una situazione insoddisfacente. Se si scava dentro il dato scopriamo che le previsioni di difficoltà coinvolgono, in primo luogo, il mondo del commercio, dell’artigianato e del lavoro autonomo (69%), il ceto medio basso (68%), i ceti bassi (71%).

Il centro delle ansie per il 2021, però, si concentra sulla paura di perdere il lavoro o l’attività. Una angoscia che coinvolge il 55% degli italiani, con punte elevate tra il ceto medio basso (73%) e i ceti bassi(74%). Il rischio occupazionale ha anche alcune chiare marcature di genere, generazionali, territoriali e professionali. Tra le donne l’apprensione per la perdita del lavoro è al 57% (contro il 53% degli uomini). Tra i giovani Millennials, i nati tra il 1981 e il 1996, la tensione coinvolge il 60% dei ragazzi e delle ragazze. Al Nord la paura oscilla tra il 49% del Nordest e il 50% del Nordovest, mentre a Centro-Sud arriva al 62%. Dal punto di vista professionale, la paura di perdere la propria stabilità occupazionale veleggia intorno al 59% tra gli operai; al 60% tra le persone che hanno contratti a tempo determinato e tocca la vetta del 69% tra commercianti, artigiani e lavoratori autonomi.

Come sarà il 2021

Lo sguardo al 2021 a tinte fosche coinvolge anche la dimensione della collocazione sociale delle persone. La maggioranza assoluta degli italiani (il 52%), prevede per sé una posizione sociale dal tono negativo o in ulteriore peggioramento. Solo il 4% immagina una condizione sociale in crescita, mentre il 32% prevede una situazione che, pur nella sua staticità, mantiene un segno positivo. Il dato, anche in questo caso, si muove lungo le dicotomie sociali, territoriali, professionali e di genere.

La quota di persone che prevede una netta e secca caduta della propria condizione sociale (all’interno del 52% che ha una visione negativa) ammonta al 15%. In questo contesto permane evidente la frattura di genere, con il 16% di donne che segnala la possibilità di una discesa, contro il 13% degli uomini. Complessivamente, il quadro di debolezza e negatività nella condizione sociale appare in ulteriore discesa tra i ceti bassi (82%) e medio-bassi (73%); tra gli operai (59%), commercianti, artigiani e lavoratori autonomi (68%). Da un punto di vista generazionale, in questo caso, sono i segmenti più adulti, i baby boomers (nati tra il 1946 e il 1964), ad evidenziare il rischio di perdere la posizione acquisita. L’area territoriale che si mostra maggiormente solida, infine, è il Nordest, con il 41% di persone che prevede un peggioramento o il permanere di una situazione sociale negativa. L’area più fragile, invece, si mostra per l’ennesima volta il Sud, con il 57% di persone che guarda con apprensione e pessimismo alla propria posizione sociale futura.

I molteplici divide italici che abbiamo osservato e l’ampliarsi della forbice sociale, con il conseguente accrescersi delle fasce di disagio e delle classi sociali in difficoltà, induce alcuni brevi cenni riflessivi. Ci troviamo di fronte a un Paese sempre più diviso tra una minoranza privilegiata e agiata che continua a macinare benessere e una larga maggioranza di persone condannata a restare nella condizione attuale o peggio (specie per chi è in già nei gradini di fondo della scala sociale) a ipotizzare ulteriori ricadute. L’Italia è un Paese in cui l’ascensore economico ha la freccia all’insù solo per quanti sono collocati nelle fasce alte della popolazione, mentre per gli altri sono aperte perlopiù le vie della stasi sociale o della discesa.

Il processo di trasfigurazione delle classi sociali rischia di generare un duplice mutamento di paradigma: da un lato, rischia di riproporre l’appartenenza di classe come il ritorno di un filtro selettivo, di uno steccato (più o meno invisibile) che delimita, preventivamente, il campo di che cosa una persona si può o non si può attendere dalla vita, il famigerato “campo del possibile” sottolineato da Bourdieu; dall’altro lato, il conflitto tra aspirazioni e realtà, appunto, potrebbe divenire sempre più doloroso, rabbioso e conflittuale, specie nel caso dei processi di declassamento. Un fenomeno che potrebbe incentivare il senso di rivalsa, il bisogno di riscatto sociale (come fattore strutturante le scelte politiche e le visioni di futuro), nonché nuove e pericolose tensioni sociali, sospinte dalle dinamiche rancorose nell’espressione della propria emozionalità politica e delle proprie scelte partitiche.

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