Le disuguaglianze crescono e cambiano il volto dell’Italia. Lavoro a basso reddito, produttività in calo, vulnerabilità dei territori alla crisi climatica impattano sui consumi, sulla composizione delle famiglie e sull’aspettativa di vita in buona salute. Con molti cittadini che rinunciano alle cure e molti altri che sono a rischio povertà ed esclusione sociale. A farne le spese sono soprattutto donne e giovani. Lo certifica il Rapporto annuale 2025 dell’Istat sulla situazione del Paese, presentato questa mattina dal presidente Francesco Maria Chelli a Montecitorio.

L’Italia fa fatica e mancano politiche adeguate a invertire la rotta. Le condizioni economiche delle famiglie restano fragili. L’inflazione ha eroso il potere di acquisto. Quasi un quarto della popolazione, il 23,1 per cento, è a rischio povertà o esclusione sociale (+0,3 punti sul 2023) ma al Sud la percentuale sale di un punto e tocca il 39,8 per cento.

La vulnerabilità economica riguarda anche chi ha un’occupazione, con l’aumento delle persone che lavorano ma i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato.

Più occupati ma più poveri

Nel 2024 il Pil è cresciuto dello 0,7 per cento, come nel 2023. Un dato inferiore a quello di Francia e Spagna, dove è cresciuto rispettivamente l’1,2 e il 3,2 per cento, mentre la Germania con -0,2 per cento è in recessione per il secondo anno di seguito.

Il ridotto tasso di crescita economica ha limitato in Italia, più che in altri paesi dell’Ue, le prospettive di maggiore benessere economico: dal 2000 al 2024, il Pil reale è cresciuto meno del 10 per cento, mentre ha registrato incrementi intorno al 30 per cento in Germania e Francia, e superiori al 45 per cento in Spagna.

Nello stesso periodo l’occupazione è cresciuta a un tasso più sostenuto, 16 per cento, e comparabile a Francia e Germania. Tuttavia, nel nostro Paese sono sì «cresciute le possibilità di occupazione ma non necessariamente quelle di benessere economico, poiché la crescita della domanda di lavoro è stata più rilevante nelle attività dei servizi ad alta intensità di lavoro, ridotta produttività e bassi salari».

E quindi, il Pil per occupato in Italia si è ridotto del 5,8 per cento, mentre in Francia, Germania e Spagna è cresciuto di circa l’11-12 per cento.

Con le retribuzioni nominali per dipendente che, tra il 2019 e il 2024, hanno perso il 4,4 per cento di potere d’acquisto, contro il 2,6 per cento in Francia e all’1,3 per cento in Germania. In Spagna invece hanno beneficiato di un guadagno in termini reali del 3,9 per cento.

L’Italia è anche il paese con il più basso tasso di occupazione giovanile, con una distanza massima con la Germania, di -31,3 punti percentuali. Gli occupati con 50 anni e oltre rappresentano il 40,6 per cento dell’occupazione totale, con un incremento del 12,5 per cento rispetto al 2019.

Le cose vanno male anche per la produzione industriale in volume, che nel 2024 è diminuita del 4,0 per cento rispetto al 2023, quando già era calata del 2,0 per cento. Diminuzione che, tra le maggiori economie europee, ha riguardato soprattutto l’Italia e la Germania, dove il calo ha raggiunto il 4,6 per cento, e solo marginalmente la Francia, -0,1 per cento, mentre in Spagna si è avuto un aumento dello 0,5 per cento.

«I dati presentati oggi dall’Istat dimostrano che i presunti traguardi del governo Meloni sull’occupazione valgono ben poco. Dietro l’aumento degli occupati si nasconde una realtà fatta di precarietà strutturale, disuguaglianze profonde e lavoro povero». «Se il governo non ha il coraggio di cambiare le cose, dobbiamo essere noi a farlo. L’8 e il 9 giugno abbiamo l’occasione di mandare un segnale forte: votare SÌ ai referendum sul lavoro significa chiedere leggi più giuste, che contrastino davvero la precarietà e ridiano dignità al lavoro», dichiara in una nota la senatrice del Pd, Susanna Camusso.

Più anziani ma meno in salute

Se la speranza di vita alla nascita è in crescita, si riduce quella in buona salute. Soprattutto per le donne. In una società che invecchia, spiega Chelli, non basta vivere più a lungo, occorre garantire che gli anni guadagnati siano vissuti in autonomia e con una migliore qualità della vita. «Per gli uomini la speranza di vita in buona salute osservata nel 2024 (59,8 anni) segna il riallineamento a quella del 2019. Per le donne, invece, la stima di 56,6 anni segna il punto di minimo dell’ultimo decennio: in un solo anno si stima, pertanto, che le donne abbiano perso 1,3 anni di vita in buona salute, ampliando il noto divario a loro svantaggio (-3,2 anni)».

Il sistema sanitario nazionale è al collasso e questo si paga in salute. Nel 2024, si confermano le differenze geografiche che vedono penalizzato il Sud, con i livelli più bassi di speranza di vita in buona salute (55,5 anni), rispetto al Centro e al Nord (rispettivamente 58,9 e 59,7 anni).

Nel 2024, circa una persona su dieci ha riferito di avere rinunciato negli ultimi 12 mesi a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa e per la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie. La rinuncia alle cure è in crescita sia rispetto al 2023 sia rispetto al periodo pre-pandemico.

Dati che sottolineano ancora una volta l’urgenza di interventi strutturali per migliorare l’accesso al sistema sanitario, a cominciare dalla riduzione delle liste d’attese.

«L’Italia arranca», sostiene Anna Ascani, vicepresidente della Camera e deputata dem. «E non c'è da stupirsi se, tra carrello della spesa in salita e costi delle bollette alle stelle, le cittadine e i cittadini che non hanno abbastanza risorse rinunciano a visite ed esami specialistici. Non c'è da stupirsi, ma c'è da allarmarsi.» E aggiunge: «Un bagno di realtà che la maggioranza dei patrioti continua a ignorare, presa com’è dalle divisioni interne su tutto e impegnata solo a barattare misure ideologiche per compiacere la propria fetta di elettorato».

Rischi climatici

A incidere sulle fragilità del sistema economico del Paese, sono anche i danni economici dovuti a eventi climatici estremi. L’Italia è tra i Paesi europei maggiormente colpiti e nel periodo 1980-2023, si colloca al secondo posto nell’Ue con circa 134 miliardi di euro, dopo la Germania con 180 miliardi e prima della Francia con 130 miliardi.

Oltre 2.700 comuni – circa il 35 per cento del totale, corrispondenti al 37,3 per cento del territorio nazionale – sono interessati da almeno una categoria di rischio. Con il 18,2 per cento del valore aggiunto industria e servizi prodotto in stabilimenti esposti a rischi naturali, di cui il 15,1 per cento a eventi franosi.

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