Emma ha 34 anni ed è incinta di sette mesi. Manca poco tempo al travaglio. La sua cartella clinica è aperta all’ospedale Umberto I di Roma. Ospedale in cui i suoi familiari non potranno però raggiungerla. Dopo le circolari emanate dal ministero della Salute a marzo 2020 gli ospedali hanno di fatto sospeso la possibilità per le neomamme di avere il proprio compagno o la propria compagna accanto durante il travaglio e nei giorni successivi al parto.

Nessun familiare. Regole ferree per tentare di contenere la diffusione del Covid-19. Emma, per questo motivo sta iniziando a fare progetti per un parto in casa: «non voglio essere sola» dice e aggiunge «se poi per caso contraggo il coronavirus, mio figlio potrebbe avere problemi. Ho troppa paura».

Partorire a casa

La prospettiva di partorire in ospedali pieni di pazienti affetti da coronavirus è stata determinante nell’aumento delle richieste per il parto in casa, una pratica antica e ormai desueta in Italia da più di cinquant’anni che è cresciuta via via negli ultimi anni.

Dagli inizi degli anni ’60 infatti, al parto in casa, era preferita la struttura ospedaliera, ritenuta più sicura in caso di emergenza, vista la disponibilità di numerose professionalità e di apparecchiature salva vita. Negli ultimi anni al contrario, le Case maternità hanno avuto un aumento graduale ma costante di richieste.

Quest’anno la pandemia causata dal coronavirus ha poi senz’altro moltiplicato in modo esponenziale la domanda. «Scegliere un parto in casa però non può essere un piano B» sostiene Elisa Casazza, ostetrica de Le Maree.

Una libertà personale

La casa maternità genovese è una cooperativa sociale iscritta a Nascere in casa si può, associazione nazionale di cui fanno parte ostetriche libere professioniste e che ha punti nascita in tutto il territorio italiano.

Elisa racconta che le motivazioni che determinano la scelta di un parto dentro le mura domestiche devono essere profonde, legate a un desiderio di libertà personale, alla tutela del proprio corpo e alla necessaria armonia tra madre e figlio già nei primi istanti di vita» e aggiunge: «è vero che con l’avvento della pandemia sempre più coppie ritengono che l’ospedale non sia un luogo sicuro per loro, ma la scelta di partorire in casa deve essere forte, motivata e condivisa. Una scelta consapevole, di entrambi i genitori di un diverso modo di concepire il parto». Il parto in casa non è però purtroppo ancora per tutte.

I costi da sostenere sono elevati, circa 2000/3000 Euro. Senz’altro però l’attenzione è spalmata su tutta la gravidanza, con frequenti visite a domicilio delle ostetriche che monitorano la crescita del bambino e la salute e il benessere della mamma. Le case maternità non prendono incarichi più tardi della 32esima settimana. 

Quest’anno il numero di parti in casa è il più alto degli ultimi cinque anni dichiara Elisa, che aggiunge «come casa maternità concluderemo l’anno avendo assistito a 30 parti extra ospedalieri. L’anno scorso avevamo ricevuto solo 17 richieste».

I padri non sono soprammobili

Anche Paola Oliveri, coordinatrice e ostetrica della casa maternità La Via Lattea di Milano racconta che le richieste sono cresciute in maniera esponenziale: «durante il primo lockdown il panico era estremamente diffuso tra le donne in gravidanza. Un allarmismo generale e incontrollato, che negli ultimi giorni di gravidanza le spingeva a scegliere di partorire a casa, vuoi per la paura di contagiarsi, vuoi per il timore di dover affrontare un parto in solitudine. Con questa seconda ondata percepisco che le richieste sono più consapevoli, più meditate.

Le coppie sono comunque sempre molto preoccupate dal fatto che il papà non possa partecipare» e aggiunge «si pensa ancora che egli sia un soprammobile, uno spettatore passivo, ma non è così. È parte fondamentale della nascita del proprio bambino».

Telecamere in sala parto

La possibilità che il padre possa partecipare o meno al parto dipende dalle strutture ospedaliere dichiara la dottoressa Olivieri, che aggiunge «il parto in casa è sicuro, la scelta deve essere consapevole e assistita, le ostetriche devono essere sempre pronte a riconoscere un percorso sereno da uno a rischio, pronte a intervenire solo ed esclusivamente se necessario. Il parto in casa non è certo solo meditazione, se ci sono emergenze ci si sposta in ospedale».

Nell’ultimo anno sul territorio nazionale sarebbero state circa 500 le nascite fuori dalle mura ospedaliere. Il numero non è certo poiché in Italia non esistono ancora statistiche ufficiali. «Gli ospedali fanno il possibile per rendere sicura la permanenza delle puerpere e dei neonati, anche dal punto di vista psicologico e affettivo, arrivando anche a distribuire tablet affinché le mamme possano mettersi in contatto 24 ore su 24 con i propri compagni» dichiara Alessia Lipardi, infermiera pediatrica del reparto di terapia sub-intensiva neonatale del Federico II di Napoli. Racconta che sono state installate anche delle telecamere così che i genitori non presenti possano osservare i bambini dalla propria abitazione.

Una scelta consapevole

«Quando dicevo che avrei partorito in casa tutti mi dicevano “che coraggio”, ma la mia scelta non è stata né coraggiosa né tantomeno temeraria: è sempre stata consapevole. Nessuna madre metterebbe a rischio se stessa o il suo bambino» racconta Federica, giovane mamma che ha partorito a maggio 2020 e che ha deciso ancor prima del lockdown il suo parto a casa: «la primissima scelta era motivata dal non voler essere ricoverata 48 h in ospedale. Ho iniziato il mio percorso all’inizio della gestazione. Cosa che consiglierei a tutte. Un’esperienza bellissima, sono stata seguita e accolta».

Una vasca gonfiabile per il travaglio in acqua, una grande palla su cui muoversi, massaggi rilassanti per distendere i muscoli del corpo. Un parto intimo, “naturale”. Lontano dai camici bianchi e dai ritmi ospedalieri. «Quando si avvicinava il parto avevo timore di dover essere ospedalizzata per qualche urgenza. In quel periodo il bambino me l’avrebbero sicuro tolto, mio marito non avrebbe potuto partecipare al travaglio. Per fortuna ho vissuto tutto con lui. Mio figlio Filippo è nato a casa durante la notte, senza alcuna complicanza» racconta Federica.

Una scelta sconsigliata

Per il professore Fabio Mosca, Presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) l’ospedale resta il posto più sicuro dove partorire, anche in tempo di coronavirus: «I punti nascita sono più che mai protetti, con personale dedicato e percorsi separati per accettazione ostetrica, sale parto, puerperio e nido. Un parto in ambiente extra ospedaliero o a domicilio può rivelarsi potenzialmente pericoloso, se non si adottano misure organizzative e criteri clinici appropriati di selezione delle gravide».

La Società Italiana di Neonatologia sconsiglia quindi la scelta di partorire a domicilio, poiché anche nelle condizioni ideali non sarebbe possibile escludere con certezza complicazioni per la salute di mamma e neonato.

Nel caso dovesse essere necessario un trasferimento in ospedale, ad esempio, in molte realtà italiane questo potrebbe non avvenire nei giusti tempi: «In questo periodo di emergenza tutto potrebbe essere aggravato dalla minore disponibilità di ambulanze» aggiunge Mosca. «In regione Piemonte il parto in casa era strutturato: all’ospedale Sant’Anna, vi erano ostetriche dedicate proprio a questo servizio e a costo zero, come servizio pubblico, servizio purtroppo sospeso con l’avvento della pandemia», dichiara Elsa Viora, presidente di Aogoi, l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani, che ricorda ancora «bisogna rispettare sempre dei parametri precisi. Durante un parto presso la propria abitazione è bene che l’ostetrica sia in contatto con l’ospedale di riferimento».  Viora racconta anche quanto sia importante promuovere e sostenere i centri nascita all’interno degli ospedali. Realtà pubbliche a costo zero, gestite da professionisti e accessibili a tutte le donne.

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