Vent’anni fa, moriva Giovanni Paolo II e, attorno al suo capezzale, si consumava l’ultimo rito collettivo del mondo cattolico. La degenza di papa Francesco sembra aver rinvigorito questo spirito. Ma è davvero così?
Quando, la sera del 2 aprile 2005, davanti a una piazza San Pietro gremita di fedeli, il cardinale Leonardo Sandri, allora sostituto della Segreteria di stato vaticana, ha annunciato la morte di papa Giovanni Paolo II, la separazione con un uomo che aveva guidato la chiesa a cavallo fra due crolli storici e antitetici – il Muro di Berlino nel 1989 e le Torri Gemelle nel 2001 – ha lasciato un vuoto in milioni di persone.
Allora, il peso mediatico è stato enorme e il bisogno di guide carismatiche pure. Sulla rivista gesuita Aggiornamenti sociali, i sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti avevano scritto, acutamente: «I media hanno moltiplicato la possibilità di accesso a un’esperienza collettiva delocalizzata: se vogliamo, hanno recapitato noi spettatori in piazza San Pietro, in modo che potessimo condividere quei momenti, quelle attese, quel senso di dolore e insieme di speranza».
Sono passati vent’anni da allora. Eppure, la sofferta degenza al èoliclinico Gemelli di papa Francesco, coi suoi 38 giorni scanditi da minuziosi bollettini medici per volontà dello stesso pontefice, ha messo sotto i riflettori la pedagogia cristiana della sofferenza del papa e il valore spirituale della fragilità in una società che, come profetizza il filosofo Byung-Chul Han, evita qualsiasi circostanza dolorosa.
La fase due del pontificato
Per molti analisti, si è aperta una nuova stagione del pontificato di Francesco, dove il naturale declino fisico farà da leva. Come osserva Loris Zanatta, docente di storia dell’America Latina all’Università di Bologna e autore di Bergoglio. Una biografia politica (Editori Laterza, 2025), questo valore pedagogico della sofferenza è cifra distintiva della storia latinoamericana.
«È un grido contro il mondo moderno, di cui Bergoglio ha sempre combattuto la secolarizzazione e il materialismo. La sofferenza è un messaggio al mondo moderno che si è allontanato da Dio» spiega. Il papa stesso ha parlato della sabiduría, la saggezza della fragilità evocata dal poeta gesuita Osvaldo Pol, come lui stesso spiega nell’autobiografia Spera: «Senza il fallimento, del resto, non ci sarebbe neanche la storia della salvezza: il fallimento della croce, portata sino alla fine, è il fondamento della nostra vita nuova».
C’è, quindi, l’eco di tutto questo nella degenza e nei silenzi rotti da un audio e una foto, gli unici elementi che papa Francesco ha usato per tornare a comunicare con il suo pueblo. Quando nel 1951 Eva Perón, fiaccata dalla malattia, annunciò via radio la sua intenzione di rinunciare alla vicepresidenza, si rivolse ai suoi descamisados: «Di questa donna si sa soltanto che il popolo la chiamava con amore: Evita».
Per Zanatta, quella di Francesco è una strategia comunicativa di stampo peronista: «In Bergoglio il silenzio vissuto con la devozione del martirio ha valore salvifico per il popolo. Per il popolo latinoamericano il corpo sofferente ha una valenza simbolica: l’imbalsamazione di Eva Perón, le mani del Che Guevara, la riesumazione del corpo di Simon Bolívar da parte di Hugo Chávez sono tutti episodi che fanno del corpo uno strumento pedagogico letteralmente populista, perché sacralizza il popolo».
Francesco e il pueblo
Nei suoi dodici anni, Bergoglio ha coltivato questa vicinanza al popolo di Dio attraverso una comunicazione fuori dagli schemi. Ha superato il suo predecessore e lo stesso Wojtyla, facendosi unico mediatore e unico interprete di una sacralità immediata, che ne ha amplificato il carisma.
Dall’altra parte, come ha dimostrato il subitaneo declino dell’entusiasmo seguito alla morte di Wojtyla, è finito il tempo dei rituali come fenomeni collettivi stabili. Forse proprio per questo, papa Francesco si richiama a quella collettività come a un’identità. Come ha dimostrato l’apparizione di pochi giorni fa da un balcone del Gemelli davanti a una folla in attesa, a Francesco preme ancora quel rapporto, per sua stessa ammissione. «Questo è il punto, senza gente non posso vivere» aveva confessato.
L’episodio di Carmela Mancuso, la signora con i fiori gialli menzionata nelle poche, affaticate parole pronunciate quel giorno, è indicativo. Conoscenza di lunga data di papa Francesco, il suo bouquet floreale rappresentava la sineddoche perfetta dell legame fra la la sacralità e il popolo. Papa Francesco, facendo tappa a Santa Maria Maggiore di ritorno in Vaticano, si è fatto mediatore diretto di quel legame, rinfocolando il senso populista del suo pontificato.
«È un elemento tipico del cattolicesimo latinoamericano, il papa che viola il protocollo, davanti alla Vergine, che mostra la sua debolezza. Sono tutti aspetti che conquistano il popolo perché fanno sentire il papa come uno di loro. Lui ne è perfettamente consapevole.
In fondo, il suo potere non si fonda sull’esibizione del potere, ma sul togliere piuttosto che aggiungere» spiega Zanatta. Gesti rituali che anticipano la separazione che verrà un giorno, quando il mondo parteciperà a un nuovo fenomeno collettivo mediatico. Anche allora, il Conclave dovrà gestire parte di questo lascito.
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