In questi giorni, dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti dal ruolo di segretario del Pd, Domani ha ospitato l’appello – lanciato sulle colonne del nostro giornale da Nadia Urbinati, Stefano Bonaga e Piero Ignazi – contro lo sfaldamento di un partito la cui dirigenza sembra ormai dirigere solo se stessa. Abbiamo chiesto ai nostri lettori cosa ne pensano. Pubblichiamo una lettera arrivata da Leonardo Castoro.

Ho 19 anni e il settembre scorso ho votato per la prima volta: referendum, regionali e comunali, tutto in una volta, giusto per recuperare un po’ di arretrati. Studio nella facoltà di Lettere all’università di Bari, quindi parlo da appassionato, diciamo così, e non da esperto. Ritengo che la politica sia una parte imprescindibile del mio pensiero e della mia vita. Mi mantengo costantemente informato proprio attraverso i siti dei giornali (ai giornali cartacei veri e propri non sono mai stato abituato), tra l’altro ho seguito con entusiasmo la nascita di una testata giornalistica nuova di zecca, quale la vostra, e colgo l’occasione del vostro invito per intervenire nel dibattito riguardante la crisi che ha travolto il Partito Democratico. 

Io credo nei valori della sinistra come una vera e propria fede, una vocazione nata col tempo e non derivante da niente, se non dalle mie personali riflessioni sulla politica e la sua vasta storia. Ho trovato nelle radici della sinistra la speranza di un mondo migliore, più giusto per tutti, ma come questa speranza (anche abbastanza ingenua, lo ammetto) si sia tradotta nel tempo, e soprattutto nella storia recente e addirittura attuale, ha mosso in me sentimenti contrastanti. Rimango fermamente convinto che solo nella sinistra si possa trovare la giusta modalità per interpretare il presente e poter costruire il futuro del nostro popolo (la destra, per sua stessa natura, è destinata a essere sempre un freno per il motore della storia, consapevolmente o meno), ma insieme a questa visione, la sinistra ha in sé il seme della sua stessa autodistruzione. La più grande nemesi della sinistra non è mai stata la destra, ma la sinistra stessa.

Non scegliamo noi il momento storico in cui nasciamo e viviamo, quindi non ho intenzione di prendere a esempio tempi e nomi dal passato. Anche se è triste, soprattutto detto da uno che quei tempi non li ha mai vissuti ma solo studiati, constatare una strisciante rinnegazione della storia. Ma questo è un altro discorso. Il Pd è collassato su se stesso, evidentemente perché le stesse sue fondamenta erano labili, e non perché abbattuto da un avversario politico (questo però non vuol dire che non ci siano avversari, tutt'altro). Io credevo nel Pd, ma più per le sue potenzialità, per le sue radici storiche, che per cosa effettivamente è stato, nella sua quasi quindicennale vita. Lo sconforto più grande, comunque, è nel constatare una totale indifferenza su tutti i livelli, un’indifferenza che travalica i confini dei partiti, della politica, della società, persino delle generazioni. Tuttavia, non ho intenzione di sprecare questo spazio sparando sentenze, anche perché è proprio questa innata propensione al giudizio facile, allo snobismo, a far divampare contrasti interni, scissioni o anche solo un pervadente spirito settario, oltre che a produrre una comunità sempre più chiusa in sé stessa e, a tutti gli effetti, elitaria (tutto ciò che la sinistra non dovrebbe essere, insomma). Dopotutto il populismo nasce lì dove la sinistra fallisce. Che si sia perso il legame, forte, con il popolo, ormai lo hanno detto tutti, ma ora i legami sembrano essersi sciolti anche fra i partiti e all'interno degli stessi partiti. Questa crisi a più livelli non si può risolvere semplicemente con un nuovo segretario, ma con una presa di coscienza dei dirigenti più importanti. Serve la volontà di mettere tutto in discussione, di formare un'alleanza più ampia disposta a riunificare i tanti, troppi, pezzi sparsi della sinistra italiana, in tutte le sue numerose sfumature, e allo stesso tempo tornare sul territorio, nei centri città come nelle periferie, nelle grandi metropoli come nelle provincie, cercando anche di infondere un’anima politica a tutta una generazione perduta, cresciuta nell'antipolitica, facendo proprie le cause dell'ambientalismo (ormai imprescindibile) insieme alle numerose fratture sociali che la globalizzazione sfrenata degli ultimi anni, e le conseguenze della pandemia ancora tragicamente in atto, hanno accentuato. Per un’Italia migliore, per un’Europa più progredita, perché la sinistra è la depositaria del progresso popolare, un progresso che, ci tengo a precisare, non può essere tale senza un costante progresso culturale. Insomma, ciò che in questi giorni stanno dicendo personalità eccelse cariche di potenzialità, come Elly Schlein e Peppe Provenzano, ma anche Gianni Cuperlo proprio su questo sito, di cui ho trovato davvero illuminante l’intervento sulla «traversata nel deserto». E loro non sono i soli, ne sono convinto.

Senza troppi altri giri di parole, siamo sul fondo. Possiamo rimanerci e dissolverci nell’oblio, oppure rialzarci e resistere. A dispetto di tutto, io continuo a crederci. Ora e sempre.

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