La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla decisione del legislatore di escludere il rito abbreviato per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo. Le istanze erano state sollevate dalla Corte d’assise di Napoli e dal tribunale di Piacenza, nell’ambito di due processi a carico di imputati accusati di aver ucciso, rispettivamente, il padre e la moglie. Secondo la corte, le finalità perseguite dal legislatore «possono essere o meno condivise; ma né le finalità in sé né i mezzi individuati dal legislatore per raggiungerle appaiono a questa Corte connotabili in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà».

La Corte ha, in particolare, preso atto che con la legge esaminata il legislatore ha voluto assicurare, per i reati più gravi previsti dall’ordinamento, la celebrazione di un processo pubblico davanti a una corte d’assise e non a un giudice monocratico, nel quale anche le vittime hanno la possibilità di essere ascoltate. Quest’obiettivo comporta certamente, spiega la sentenza, una dilatazione dei tempi di definizione dei processi per i reati punibili con l’ergastolo, e in particolare per gli omicidi aggravati. Tuttavia, l’individuazione delle soluzioni più idonee ad assicurare un processo in grado di raggiungere, in tempi ragionevoli, il suo scopo naturale, ovvero l’accertamento del fatto e delle relative responsabilità, nel rispetto dei diritti della difesa rientra nella discrezionalità del legislatore, cui non può essere sovrapposta una diversa autonoma valutazione da parte della Corte costituzionale.

La Consulta ha inoltre affermato che la disciplina esaminata non viola il diritto costituzionale di difesa, perché il legislatore può escludere l’accesso a determinati riti alternativi agli imputati di reati particolarmente gravi, come quelli puniti con l’ergastolo. D’altra parte, la Corte ha osservato che non esiste un diritto dell’imputato a ottenere la celebrazione del processo «a porte chiuse» a tutela della sua dignità e riservatezza. Il principio della pubblicità del processo, specialmente per i reati più gravi, costituisce infatti non solo una garanzia soggettiva per l’imputato, ma anche un connotato identitario dello Stato di diritto, a tutela dell’imparzialità e obiettività dell’amministrazione della giustizia, sotto il controllo dell’opinione pubblica. Infine, la sentenza sottolinea che la riforma non comporta necessariamente l’effettiva condanna all’ergastolo dell’imputato giudicato colpevole in esito al dibattimento, dal momento che la corte d’assise ha sempre la possibilità di riconoscere in suo favore l’esistenza di circostanze attenuanti che possono comportare l’applicazione di una pena inferiore.

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