«Qui la Lega ha nascosto il tesoretto così tanto cercato dalle autorità italiane». Ecco dove vanno i soldi della Lega, o almeno alcuni: in quello stesso posto dove si sono fiondate anche le multinazionali, gli sportivi, le cantanti, i ricchissimi insomma, compresa la criminalità organizzata nostrana. Amazon e Shakira, Tiger Woods ed Hermes, la Lega e i prestanome del principe saudita, Decathlon e Angelina Jolie: questo posto è davvero un paradiso, perdona proprio tutti per i loro peccati (fiscali). Il posto è il Lussemburgo, e l’inchiesta si chiama OpenLux. Si tratta di una sorta di spin-off, di seconda stagione, di una storia già nota, LuxLeaks. Anche i dati raccolti con OpenLux conducono all'inchiesta della procura di Genova sul riciclaggio di parte dei 49 milioni della Lega. Stessi nomi e stesse società.

OpenLux, che comincia a essere pubblicata proprio oggi e che verrà snocciolata a puntate, è ambientata ancora una volta in Lussemburgo, e la trama è quella di un paradiso fiscale che continua a essere tale nonostante i ripetuti scandali. «La cassaforte d’Europa»: così la chiama Le Monde, che assieme ad altri sedici media, compreso Irpi, comincia oggi la pubblicazione delle rivelazioni. 

Anticipiamo il finale: all’Europa il “sistema dei paradisi” cosa 544 miliardi di euro, di cui 257 miliardi si trovano in paradisi europei, e cioè Lussemburgo appunto, ma anche Irlanda, Olanda, Belgio, Cipro. Per l’Italia, fa i conti Irpi che è il partner investigativo italiano, la perdita fiscale è di oltre sei miliardi e mezzo. Queste cifre, europee e nazionali, valgono per un solo anno: provate a moltiplicarle per tutti gli anni nei quali il sistema sta funzionando.

LuxLeaks - Pepsi, Fiat, Ikea

In principio fu Antoine Deltour. Questo giovane revisore dei conti, proveniente da una cittadina francese famosa per i merletti, Épinal, si è ritrovato appena ventiduenne a lavorare in Lussemburgo per Pricewaterhouse Coopers. Gli sono bastati due anni per capire che qualcosa non quadrava, e nel 2010, quando gli è stata offerta una promozione, invece di accettare, ha consegnato le proprie dimissioni. Nel 2014 le ragioni sono divenute chiare al mondo, perché su tutti i giornali sono arrivati i clamori di LuxLeaks. Dietro c’era lui, Deltour, il lanceur d’alerte, il whistleblower, la sentinella civica. Nel 2010 ha scaricato sul computer migliaia di pagine di documenti, che poi ha usato per rivelare gli accordi tra Lussemburgo e multinazionali come Fiat, Pepsi, Ikea. Quei patti, siglati quando al governo del Granducato c’era Jean-Claude Juncker (che poi ha ricoperto l’incarico di presidente della Commissione europea), consentivano a 340 grandi aziende di pagare tasse irrisorie a discapito degli altri paesi europei. Grazie ai leak di Deltour, l’Unione europea è poi riuscita a recuperare milioni di euro. Quanto a lui, ha dovuto pure patire un processo: la sua ex società lo ha trascinato in tribunale e lui ha rischiato fino a dieci anni di carcere assieme al suo ex collega Raphael Halet e a Edouard Perrin, il giornalista che portò a galla lo scandalo. I tre erano accusati di violazione di segreto, furto, frode informatica. Il caso divenne un apripista per una battaglia europea a difesa del whistleblowing; per Deltour, si schierarono svariate personalità, da Thomas Piketty a Edward Snowden.  

OpenLux - Dai sauditi alla Lega 

Ci sono 124mila società commerciali iscritte sul registro delle imprese del Lussemburgo. Ci sono i dettagli finanziari di ciascuna. Ci sono, perciò, milioni di documenti, che sono stati di recente resi pubblici, e che Le Monde ha raccolto in una banca dati per analizzarli con i suoi partner di inchiesta. Ci è voluto un anno per tirare le fila. Ed ecco un assaggio delle conclusioni di OpenLux. Anzitutto, la pubblicazione dei registri è sì un atto di trasparenza, ma le informazioni continuano a essere opache, spesso lacunose, se non addirittura incongruenti. Miuccia Prada, per dire, ha inserito come data di nascita il 10 maggio 1048, c’è un imprenditore francese che ha la fortuna di esser nato nel futuro (2087). Ci sono poi le società affidate ai prestanomi. Per esempio, si sa che Mohammed bin Salman, il principe dell’Arabia Saudita - il luogo di “un nuovo rinascimento” secondo Matteo Renzi - ha comprato nel 2015 un sontuoso castello vicino a Versailles; eppure dai registri ne risulta detentrice la società Prestigestate, nella quale bin Salman non lascia le sue tracce dirette, ma quelle del suo segretario particolare e di altri due sauditi.

Il cuore dell’inchiesta è però un altro: è che la gran parte di quelle società iscritte nell’albo sono offshore, sono «l’equivalente di una buca per le lettere: non hanno dipendenti, non hanno uffici, non hanno nessun ancoraggio con l’economia reale», scrive Jérôme Fenoglio,  il direttore di Le Monde nel suo editoriale. Il Lussemburgo, con il suo regime fiscale favorevole, è da tempo il porto franco delle aziende che vogliono eludere le tasse. In paradiso (fiscale) vanno ben 15mila francesi, qui continuano a fuggire le multinazionali (proprio come ai tempi di LuxLeaks). E pure la criminalità organizzata vi si rifugia volentieri.

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