Le conseguenze della pandemia non si limitano a emergenza sanitaria e crisi economica, ma includono anche l’incertezza generata da messaggi contraddittori, limitazioni erratiche e poco razionali alla libertà, generale assenza di responsabilità nelle decisioni, che aumenta l’angoscia e lo smarrimento del cittadino già colpito dai timori per la salute e il benessere economico propri e dei propri affetti. Nei dati però si trovano alcune risposte chiare sul rapporto tra Covid-19 e i costi economici della pandemia, sulle responsabilità della gestione della crisi e sul costo in termini di vite umane che questa gestione ha comportato. Recriminare sul passato non serve a niente; serve, invece, a chiarire le responsabilità, in modo da evitare il ripetersi di pessime decisioni nei prossimi mesi, cruciali per uscire dalla crisi, e i costi dell’inefficienza.

Il trade off che non c’è

È diffusa la convinzione che la gestione del Covid-19 sia caratterizzata da un trade off possibile tra tasso di mortalità e costo economico, cioè che sia possibile aumentare il benessere economico accettando qualche contagio e qualche morto in più. Niente di più falso. Il grafico in centro a questa pagina mostra chiaramente che esiste, al contrario, una relazione inversa tra il costo sostenuto dai maggiori 40 paesi (misurato dalla differenza tra la crescita del Pil per il 2020 che era attesa a fine 2019, e la crescita effettiva dell’anno scorso), e il loro tasso di mortalità da Covid-19 per milione di abitanti, l’unico dato certo visto che quello dei contagi è seriamente distorto da problemi di misurazione e interpretazione. Non c’è trade off: i paesi che hanno saputo gestire meglio la crisi sanitaria sono anche quelli che hanno pagato il costo economico minore. Il grafico aiuta a capire che variabili quali clima, esposizione dell’economia al turismo, qualità dell’aria, densità della popolazione, reddito pro capite, varianti del virus, area geopolitica non sono in grado di spiegare la relazione negativa costi/mortalità che esiste tra i paesi; ma evidenzia come la principale spiegazione risieda nella capacità ed efficienza complessiva di un paese nel gestire la crisi sanitaria (strutture ospedaliere, medicina sul territorio, prevenzione, pianificazione, rapidità delle misure di sostegno economico e così via).

L’Italia ne esce malissimo, peggio di qualsiasi altro paese, con l’eccezione di Regno Unito, che però sta rapidamente recuperando, e Repubblica Ceca. Emergono le gravi responsabilità del governo Conte, un giudizio che prescinde dalle convinzioni politiche. Dati che il Governo Draghi, atteso a ribaltare rapidamente la rotta, dovrebbe tenere ben a mente. Un risultato disastroso a cui hanno contribuito le amministrazioni regionali. La Lombardia, che per popolazione (10 milioni) e Pil (23 per cento dell’Italia) ha le dimensioni di una nazione europea, vanta il triste primato della peggior gestione al mondo della pandemia (vedi grafico, che ipotizza uno shock economico regionale proporzionalmente uguale a quello nazionale). Una vera vergogna. E per una volta l’austerità non c’entra niente visto non sono stati posti limiti all’espansione fiscale e agli interventi pubblici, grazie all’ombrello degli acquisiti di titoli di stato della Bce.

Decessi evitabili

La cattiva gestione della pandemia ha un costo di vite umane che va ben oltre quello economico. L’Italia ha gestito la crisi peggio degli altri. Ma è ancora più che grave che il gap di mortalità continui ad allargarsi anche con l’arrivo dei vaccini. Guardando all’andamento della mortalità dopo la fine delle vacanze natalizie,per evitare le distorsioni nei dati, il grafico in basso mostra infatti come la dinamica da noi continui a peggiorare dopo l’avvio delle vaccinazioni, in controtendenza rispetto ai maggiori paesi europei. Se, per esempio, negli ultimi due mesi l’Italia avesse gestito vaccinazioni, restrizioni, e assistenza sanitaria in modo tale da mantenere il tasso di mortalità in linea con quello del Regno Unito, avremmo avuto 1.600 morti in meno; con il tasso di mortalità di Francia e Germania, che hanno condiviso con noi la caotica fornitura dei vaccini, avremmo avuto, rispettivamente, 3.900 e 7.600 morti in meno. Numeri impressionanti. Morti evitabili che dovrebbero pesare sulla coscienza di chi ha avuto la responsabilità della gestione della cosa pubblica; evitarle, l’assoluta priorità di chi deve gestire l’uscita dalla crisi nei prossimi mesi. Di fronte a tale tragedia umana, i contrasti tra Stato e Regioni e la difesa delle autonomie costituzionalmente garantite sono inaccettabili: la sicurezza dei cittadini è il primo, inderogabile, dovere dello Stato.

Il contrasto stato e regioni

L’autonomia regionale ha peggiorato le cose: la pandemia è stato uno shock e un’emergenza nazionale che in quanto tale andava gestita in modo unitario a livello centrale, specie di fronte all’eccezionalità e complessità logistica e organizzativa del piano vaccinale. Una pandemia globale non ha niente a che fare con l’ordinaria amministrazione del sistema sanitario. Invece ogni Regione va in ordine sparso, con tempistiche, criteri e standard diversi, sovrapponendosi e contrapponendosi allo Stato. A questo si aggiungono riaperture e chiusure a casaccio, rivendicazioni settoriali e di categoria, favoritismi diffusi che hanno un unico comune denominatore: la ricerca del facile consenso. Di conseguenza, si allarga la disparità nell’andamento del tasso di mortalità tra Regioni, che non può essere addotto ad altre cause se non ai diversi livelli di efficienza e organizzazione. Nella settimana prima di Pasqua la Lombardia, ha avuto 6,4 morti ogni 100.000 abitanti, un tasso di mortalità inferiore solo a Friuli ed Emilia-Romagna, di gran lunga superiore alla media nazionale, e quasi il doppio di regioni popolose come Lazio, Veneto o Sicilia. Differenze inaccettabili di mortalità che ultimamente si sono allargate. Il grafico in basso 

mostra come la gestione disastrosa del programma vaccinale in Lombardia ha portato la regione, che pure a inizio anno aveva un tasso di mortalità inferiore alla media nazionale, a superarla, con un andamento divergente che non accenna a ridursi, anche nei confronti delle altre regioni più popolose. Se solo la Lombardia fosse stata in grado di assicurare nell’ultimo mese la media nazionale, invece di divergere, i morti in meno sarebbero stati quasi 600. Morti in sovrappiù di cui qualcuno dovrebbe ritenersi moralmente responsabile. Morti di troppo, come i soldati uccisi il giorno prima dell’armistizio. Una tragedia nella tragedia che non possiamo accettare.

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