Il gip di Milano Alessandra Cecchelli ha respinto la richiesta di archiviare l'indagine sulla morte di Imane Fadil, la giovane marocchina ospite delle cene nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore e successivamente testimone dell'accusa nel caso Ruby. Accogliendo la richiesta dei legali della famiglia della ragazza morta alla clinica Humanitas l'1 marzo 2019, dopo 31 giorni di ricovero, il giudice ha disposto «un termine di sei mesi per il compimento delle indagini» che dovranno chiarire «se fosse possibile un accertamento più tempestivo della diagnosi della malattia e infine se tale tempestività poteva evitare il decesso apprestando le cure del caso».

Le indagini della procura erano arrivate alla conclusione che Imane Fadil non era stata avvelenata ma la sua morte era dovuta a un' «aplasia midollare associata a epatite acuta». Non era inoltre ravvisabili elementi di colpa da parte dei medici. Le conclusioni non erano state condivise dai difensori della famiglia della vittima, che in una consulenza avevano chiesto ulteriori approfondimenti. Il giudice nella sua ordinanza ritiene superflui alcuni accertamenti rispetto ai quali c'è già una "risposta esauriente", esclude responsabilità rispetto ai medici che hanno visitato la giovane cinque giorni prima del ricovero, ma condivide la necessità di approfondire le scelte terapeutiche degli ultimi giorni, messa in discussione anche dai consulenti della procura.

Il tutto alla luce anche di alcune testimonianze del personale sanitario. Non ritenendo sufficienti gli elementi raccolti per la richiesta di archiviazione, il giudice riconsegna dunque gli atti alla procura per un'integrazione di indagine e avere così un «quadro probatorio chiaro ed esaustivo» al fine di ravvisare se c'è «un nesso eziologico fra la condotta dei sanitari e il decesso di Imane Fadil».

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