Nella prima mattinata di oggi, i finanzieri del comando provinciale di Padova hanno posto agli arresti domiciliari due persone nell’ambito di un’indagine, durata due anni, relativa a reati tributari e truffe ai danni dello Stato e di altri enti pubblici tramite indebite compensazioni per un ammontare complessivo di oltre 7,3 milioni di euro. Un sistema consolidato di frodi perpetrate, in concorso, da 35 persone residenti in Italia e all’estero, a cui vengono contestate, a vario titolo, ipotesi di reato contro il patrimonio e tributarie (truffa ai danni dello Stato, dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed emissione di fatture per operazioni della stessa specie, indebite compensazioni e riciclaggio).

Nell’ambito della stessa inchiesta, stamattina sono state condotte oltre 60 perquisizioni in varie regioni italiane: dal Veneto alla Lombardia, dal Friuli-Venezia Giulia all’Emilia-Romagna, fino a Trentino, Lazio, Puglia e Calabria. Nei confronti dei due principali indagati, ora agli arresti domiciliari, è stato ordinato anche il sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di 3,7 milioni di euro, circa l’equivalente dei profitti illeciti di cui i sodali sono già entrati in possesso.

I due sono un ex consulente fiscale e un programmatore informatico, entrambi veneti: si sono avvalsi di una serie di fidati collaboratori, tra cui l’anziana zia, la compagna di vita di uno e la sorella dell’altro, per individuare aziende in difficoltà e/o crearne nuove (prive di strutture, dipendenti e mezzi, nonché inadempienti nei confronti del fisco), con il solo scopo di utilizzarle per sottrarre risorse finanziarie alle casse dell’erario. I due reclutavano anche vari prestanome e soggetti compiacenti su tutto il territorio nazionale ed anche all’estero, tanto che ben quattro rappresentanti legali di altrettante società agli stessi riconducili sono cittadini croati, venuti in Italia un’unica volta per costituire società gestite, di fatto, dai due principali indagati.

Erano diversi i sistemi con cui gli indagati portavano avanti le loro frodi. Il primo meccanismo consisteva nella predisposizione di una serie di modelli F24, deleghe per il pagamento di debiti fiscali, previdenziali e assistenziali, rivelatisi inesistenti, utilizzando crediti della stessa natura parimenti inesistenti, di cui gli indagati richiedevano il rimborso a Camere di Commercio, Enti locali o Enti bilaterali, spiegando di aver effettuato il pagamento per errore, al fine di “monetizzare” i predetti falsi crediti tributari e contributivi. Tali organismi, destinatari di contributi versati sulla base di accordi contrattuali, non potendo verificare la legittimità delle richieste di rimborso presentate dai prestanome dei due professionisti, predisponevano, in buona fede, bonifici per svariate decine di migliaia di euro in favore delle società di volta in volta utilizzate. Se i rimborsi tardavano ad arrivare, i soggetti implicati non avevano remore nel chiamare e/o scrivere all’Ente interessato, minacciando azioni legali tese a sollecitare il pagamento delle somme indebitamente richieste.

Il secondo meccanismo invece rientrava pienamente nella fattispecie delle indebite compensazioni di crediti erariali fittizi con imposte realmente dovute. Una terza modalità fraudolenta si manifestava con la creazione di falsi crediti Iva in dichiarazione tramite l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, cui seguiva l’indebita istanza di rimborso all’ufficio finanziario competente. L’ex commercialista, inoltre, conoscendo approfonditamente i criteri e le modalità di controllo adottati dell’Agenzia delle Entrate, ha reclutato diversi soggetti compiacenti, che si sono prestati a presentare, sotto la sua regia, molteplici modelli 730, artatamente predisposti, per richiedere rimborsi di crediti inesistenti di poco inferiori all’importo di 4mila euro, soglia fissata per i controlli da parte degli uffici finanziari, riuscendo, in questo modo, a sottrarre diverse centinaia di migliaia di euro all’erario.

Gli indagati, una volta “monetizzato il tesoretto”, lo destinavano su svariati conti correnti, per poi prelevare il denaro in contanti o inviarlo all’estero, in particolare su conti croati. I proventi illeciti usciti dai confini nazionali rientravano in Italia attraverso una serie di trasferimenti volti a ostacolarne l’identificazione della provenienza illecita, transitando su conti correnti di società gestite da soggetti compiacenti. Parte dei profitti illeciti sono stati reinvestiti anche in Italia tramite l’intestazione formale dei beni a prestanome.

Ad oggi, i sistemi fraudolenti utilizzati dagli indagati hanno consentito loro di appropriarsi

di 3,7 milioni di euro circa, cui si aggiungono ulteriori, analoghi tentativi di truffa per un

importo di 3,6 milioni di euro, che non si sono concretizzati per l’intervento repressivo

odierno.

Non di secondaria importanza è l’iniziativa assunta dagli indagati di presentare istanze

per accedere ai contributi a fondo perduto, stanziati inizialmente con il Decreto Rilancio

per sostenere l’economia, avvalendosi delle citate imprese “fantasma”, costituite non

solo con il fine di frodare il fisco, ma anche di beneficiare di indebite sovvenzioni

pubbliche, a discapito di contribuenti realmente in difficoltà.

L’attività di servizio in rassegna si inserisce nel più ampio novero dei compiti istituzionali

assolti dalla Guardia di Finanza, quale forza di polizia posta a presidio della sicurezza

economico-finanziaria del Paese, orientata, in tale contesto, alla tutela della finanza

pubblica attraverso il recupero di ingenti risorse finanziarie, soprattutto in questo

momento storico fortemente caratterizzato dall’impatto negativo della pandemia

sull’attività economica.

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