A Milano il candidato sindaco del centrodestra, Luca Bernardo, ha minacciato di ritirarsi a due settimane dal voto perché i partiti della coalizione non gli pagano la campagna elettorale. A Roma diventa una notizia che il candidato Enrico Michetti presenzi a una iniziativa politica perché da settimane Lega, Fratelli d’Italia e qualche amico che gli vuol bene gli hanno impedito di parlare in pubblico: a ogni dichiarazione sui Cesari e gli acquedotti perde qualche migliaio di voti. 

A Napoli il magistrato Catello Maresca, dopo mesi di campagna elettorale non dichiarata, ha avuto un incidente di percorso dietro l’altro nei rapporti con la coalizione: prima era lui che si vergognava di alcuni candidati al consiglio comunale e non li voleva in lista, poi ha perso per strada la lista della Lega, esclusa per questioni burocratiche (almeno così pare). Chi sia il candidato sindaco del centrodestra a Bologna dobbiamo cercarlo su Google, tanta è stata la sua incisività finora (Fabio Battistini).

In Calabria, come abbiamo raccontato qui su Domani, la Lega ha imbarcato il peggio della classe dirigente locale e non si fa problemi se qualche suo candidato, passato o presente, ha rapporti troppo intimi con famiglie nell’orbita della ‘ndrangheta.

A Roma, nelle elezioni suppletive per il parlamento, il centrodestra non ha candidati, lascia che i suoi voti confluiscano su un imputato per corruzione, Luca Palamara, il cui unico merito apparente è aver reso espliciti (per effetto di un trojan nel cellulare, mica per pentimento) i traffici intorno alle nomine dei magistrati. 

L’equivoco

Queste sono le condizioni del centrodestra, che ha moltissimi elettori e nessun candidato credibile, con la parziale eccezione di Paolo Damilano a Torino, così poco ideologicamente connotato che avrebbe potuto candidarsi anche col centrosinistra. Il paradosso è che quei consensi - intorno al 48 per cento nei sondaggi - si sono stratificati grazie a un sostanziale imbroglio nei confronti degli elettori: Giorgia Meloni e Matteo Salvini infiammano il pubblico dei talk show amici con le loro dichiarazioni su migranti, gender e ammiccamenti ai no-vax.

Ma poi Meloni è la più funzionale sostenitrice del governo Draghi, del quale certifica la legittimità proprio in quanto opposizione costruttiva, e Salvini è ormai sbertucciato anche dal suo partito e dai ministri leghisti del governo: è rimasto solo il deputato Claudio Borghi a credere che le sparate di Salvini siano la linea ufficiale del partito, che invece da tempo si è riallineato sull’asse Giorgetti-Zaia.

Non potrà continuare così per sempre. Se il centrodestra mostra la sua vera faccia, più pragmatica di quanto dicano gli slogan, perde voti. Se riesce a far eleggere i suoi esponenti più esaltati, in nome delle battaglie di bandiera, sa di non poter governare (vedi governo Conte 1 e la ritrosia a vincere Roma).

Può prendere tempo, magari baloccandosi con qualche mese con il delirio di mandare il condannato Silvio Berlusconi al Quirinale, ma prima o poi questa bolla scoppierà. Da sola, perché non è certo il centrosinistra a mettere in crisi il grande imbroglio della destra italica.

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