La proposta che nel corso di questa legislatura ho voluto ripresentare  in parlamento per l’introduzione dell’obbligo della redazione del bilancio di genere da parte delle amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti territoriali, quale premessa di una più incisiva applicazione di un altro strumento che considero fondamentale, ossia la valutazione d’impatto di genere ex ante ed ex post delle politiche pubbliche, rientra nel quadro delle iniziative che sia a livello nazionale che europeo che internazionale vanno con decisione e senza ulteriore indugio assunte per liberare le potenzialità di crescita, sviluppo e benessere comune a donne e uomini dalla zavorra più pesante: la disuguaglianza di genere che, in quanto tale, attraversa tutte le altre.

Quando nel suo discorso programmatico, coerentemente con la piattaforma di Pechino del '95 e il target numero 5 dell’Agenda 2030 dell’Onu, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha indicato nel perseguimento della parità di genere, nel superamento dei divari e delle discriminazioni una delle principali priorità della nuova Commissione e dell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, il Covid non aveva ancora fatto drammaticamente irruzione nella nostra realtà stravolgendola completamente e imponendo un totale ripensamento di modelli, paradigmi, agende.

La crisi economica, lavorativa, sociale scatenata dall’emergenza sanitaria, dalla pandemia da Coronavirus rappresenta una fase di cambiamento epocale che comporterà un progresso solo e soltanto se la politica e le classi dirigenti sapranno compiere quelle scelte necessarie per promuovere e sostenere un riequilibrio sociale ed economico fondato sulla parità di genere, sulla parità di opportunità di lavoro e di vita, sul rispetto delle differenze e sulla condivisione come principio cardine.

E' la ragione per cui già a maggio abbiamo promosso e fatto votare in senato una mozione per un piano straordinario per l’occupazione femminile - fondamentale per il bene, lo sviluppo, la crescita equa e solida del nostro Paese e di tutta la società - e per cui nelle settimane scorse abbiamo portato fin dentro le istituzioni la battaglia civica sostenuta da tante associazioni di donne per destinare almeno la metà delle risorse del Recovery fund al superamento del gender gap sul lavoro, nelle retribuzioni, nelle opportunità di carriera, nelle responsabilità di cura ecc e per il loro riconoscimento sociale ed economico.

Il bilancio di genere, che significa pianificare e programmare azioni e capitoli di spesa che non sono mai neutri per quanto riguarda il diverso impatto che hanno su donne e uomini, è un elemento essenziale per rafforzare l’uguaglianza e realizzare i diritti, la libertà, l'autonomia, l'autodeterminazione delle donne.

In Italia il bilancio di genere è stato introdotto per la prima volta con il decreto legislativo n. 150 del 2009. Un punto di innovazione importante che oggi va però decisamente sviluppato, allargato e reso omogeneo su tutto il territorio nazionale. Per raggiungere infatti una visione unitaria e completa sulle politiche adottate per il superamento del gender gap, del loro controllo a posteriori, della formulazione di linee politiche future, è infatti essenziale che tutte le amministrazioni pubbliche, incluse quelle locali dai 5mila abitanti in su - come prevede il disegno di legge n. 1539 a mia prima firma che riprende il ddl presentato durante la scorsa legislatura dalla senatrice Magda Zanoni - presentino una rendicontazione delle spese dirette a incidere sul divario di genere.

Bisogna inoltre che sia rafforzato il collegamento tra gli indicatori statistici che servono a monitorare il diverso impatto di genere delle spese, gli indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes) sviluppati dall’Istat e l’attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Ecco perché il disegno di legge depositato già un anno fa punta a introdurre nel nostro ordinamento, dopo una prima fase sperimentale, l’obbligo per regioni, province, città metropolitane e comuni con più di 5mila abitanti di redigere il bilancio di genere al fine di consentire la valutazione del diverso impatto della politica di bilancio sulle donne e sugli uomini in termini di denaro, tempo e lavoro non retribuito e incentivare l’adozione di misure di riequilibrio.

Riequilibrio e trasparenza sono le due parole chiave e guida di una tale iniziativa e, a mio avviso, di tutte quelle che devono essere assunte. Riequilibrio significa infatti smettere di considerare le donne come una categoria e iniziare a trattarle come la metà della popolazione italiana portatrice di specificità e differenze che vanno riconosciute e valorizzate, non nascoste né negate né tantomeno penalizzate. Trasparenza è la chiave per rendere leggibili in termini di genere le scelte politiche e di bilancio.

Oggi questa è la direzione che dobbiamo assumere. E’ oggi infatti che possiamo e dobbiamo costruire il cambiamento che ci attende dopo il Coronavirus e per governare l'emergenza ancora in atto. E’ oggi che possiamo e dobbiamo archiviare definitivamente stereotipi e pregiudizi assolutamente fuori dal tempo, dallo spazio, da ogni condizione reale che stiamo materialmente vivendo. Non per una rivendicazione femminile, di parte, ma come opportunità trasversale e per il benessere di tutte e tutti, donne e uomini insieme. Il bilancio di genere è la concretizzazione di quell’approccio mainstreaming così necessario al vero cambiamento perché il solo in grado di mobilitare e sensibilizzare tutte le politiche e le misure tenendo conto, nella loro valutazione ex ante ed ex post, degli effetti diversi su donne e uomini, per dare una reale chance di ripartenza, crescita e sviluppo più ampio, equo, sostenibile, condiviso e paritario.

@Riproduzione riservata

*senatrice Pd

© Riproduzione riservata