Il governo ha presentato venerdì sera al parlamento la richiesta per l’autorizzazione al ricorso all’indebitamento nel 2021 di 32 miliardi, destinati al sostegno dei settori maggiormente colpiti dalla pandemia.

Un intervento ampiamente annunciato sin dallo scorso novembre quando fu richiesta l’ultima autorizzazione a valere sul 2020, poi utilizzata per finanziare le misure del cosiddetto decreto Ristori quater.

Lo scorso anno il governo ha presentato al Parlamento quattro richieste di autorizzazione, con un impatto complessivo sul disavanzo pari a circa 108 miliardi.

Se la richiesta di nuovo debito per il 2021 non è una sorpresa, lo stesso non può dirsi per la sua dimensione che, secondo dichiarazioni rilasciate durante la sessione di bilancio, avrebbe dovuto collocarsi intorno a 20 miliardi.

Questi avrebbero dovuto aggiungersi ai 3,8 miliardi che opportunamente la versione presentata della legge di bilancio collocava in un fondo (da ripartire nel corso del 2021) per il sostegno delle attività produttive maggiormente colpite dall’emergenza epidemiologica da ripartire successivamente.

Tre miliardi di sprechi

Nell’ultima settimana di esame alla Camera quel fondo è stato utilizzato dal parlamento per una miriade di finalità, solo una delle quali (l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali dei lavoratori autonomi con un costo di 1 miliardo) chiaramente collegata alle conseguenze dell’emergenza sanitaria.

La parte restante (quasi 3 miliardi) è andata a soddisfare con micro-stanziamenti esigenze che vanno da una serie di sgravi fiscali (dai rubinetti ai divani) a sussidi ad attività varie (dallo stoccaggio dei vini di qualità alla tutela della filiera brassicola) o a particolari entità (dalle università non statali del Mezzogiorno fino all’Unione industriale biellese).

Un caso di scuola di legislazione pork barrel, un termine con una storia ultracentenaria nel dibattito americano e che sta ad indicare pacchetti di spesa costruiti mettendo insieme progetti il cui scopo principale è beneficiare elettori e sostenitori di singoli parlamentari. Entro certi limiti, un tratto intrinseco del processo di formazione del bilancio pubblico in sistemi parlamentari con governi di coalizione. Ma quei limiti non vanno superati, specialmente in una fase come quella che stiamo vivendo, in cui l’emergenza sanitaria produce una pressione formidabile sul bilancio.

Se la logica della composizione degli interessi attraverso elargizioni dal bilancio dovesse guidare le scelte future, in particolare quelle sul Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza), sarebbe davvero un guaio.

Di ristoro in ristoro

Il 2020 ha chiuso con un disavanzo compreso tra il 10 e l’11 per cento del Pil, per il 2021, considerando l’indebitamento aggiuntivo di 32 miliardi, siamo già intorno al 9 per cento. Sembra che i 32 miliardi saranno utilizzati interamente dal decreto Ristori quinquies che verrà emanato subito dopo l’autorizzazione del Parlamento mentre chiaramente non è da escludere che nel corso dell’anno emerga l’esigenza di ulteriori interventi.

Intanto i tempi del Pnrr sono ancora incerti (il piano per quanto migliorato rispetto alle versioni precedenti è ancora ben lungi dall’aver assunto una forma soddisfacente).

Allo stesso tempo, l’ombrello della Bce e la cosiddetta general escape clause (in pratica, la sospensione delle regole fiscali), confermata dalla Commissione europea anche per l’anno in corso, contribuiscono a determinare un clima in cui il vincolo di bilancio è un principio a dir poco sfumato.

Così, via libera all’introduzione di bonus fantasiosi e discussioni surreali su riforme dell’Irpef in disavanzo (istruttivo il tenore generale del dibattito parlamentare nel ciclo di audizioni delle Commissioni finanze di Camera e Senato iniziato la scorsa settimana). Risorse spese male, in voci che non contribuiranno alla indispensabile inversione di tendenza nella capacità di crescita dell’economia italiana rispetto all’ultimo decennio.

Cosa cambia nel 2022

Dal 2022 il contesto generale sarà completamente diverso, non ci sarà auspicabilmente un ritorno all’austerità, ma ricomparirà – Mes o non Mes – un qualche controllo sulla qualità della politica di bilancio.

 La pressione fiscale nel suo complesso non potrà diminuire nei prossimi anni. Difficile, infatti, immaginare che siano possibili significative riduzioni della spesa complessiva.

Per le entrate, quindi, saranno possibili soltanto ricomposizioni del carico tributario. Le risorse aggiuntive dovranno essere spese principalmente per investimenti pubblici e per sostenere e indirizzare quelli privati.

Il governo ha scelto di non usare tutti i prestiti di Next Generation Eu per nuove iniziative e di destinarne una parte, sostitutiva di debito nazionale, a finanziare interventi già decisi proprio al fine di evitare una crescita eccessiva del debito totale.

Per inciso, questa circostanza rende davvero incomprensibile che si discuta ancora di Mes. L’ammontare di prestiti che si è deciso saranno “sostitutivi” di debito nazionale è ben superiore ai 36 miliardi del Mes: se si vogliono destinare risorse aggiuntive alla sanità c’è ampio spazio.

Sarebbe paradossale se gli spazi di bilancio che si aprono venissero usati seguendo il modello del pork barrel.

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