Dopo Mario Draghi, sembra che torneremo al bipolarismo. È un bene, favorisce la chiarezza delle opzioni politiche e di solito rende la democrazia (storicamente è stato così, in Occidente) più solida, attraverso la pratica dell’alternanza. Che ci si sfidi per la guida del Paese, dunque, con programmi verificabili e idee diverse sul futuro dell’Italia.

C’è un problema però. Il centro-destra, ancorché oggi diviso su Draghi, in questa sfida bipolare si presenterà unito. Con una coalizione molto competitiva, anche se sbilanciata a destra, in cui le diverse forze si completano e che si avvicina al 50 per cento dei consensi.

Sull’altro versante, un’eventuale coalizione di centro-sinistra allargata ai Cinquestelle, come quella cui lavora il Pd di Letta, avrebbe sulla carta la stessa forza elettorale. Ma questa coalizione ancora non c’è. Perché le tre formazioni centriste, +Europa, Azione e Italia Viva, che stando ai sondaggi sommano un 6-7 per cento decisivo, tuttora pongono veti all’alleanza con i Cinquestelle e perdipiù vantano leader (Renzi) oggettivamente molto divisivi. Ma forse anche per motivi più profondi, trasversali. Come risolvere il problema?

In apparenza la legge elettorale può aiutare. Il proporzionale, su cui puntava il Pd di Nicola Zingaretti, consentirebbe di fare alleanze solo dopo il voto, non necessariamente anche prima. Il maggioritario a doppio turno, su cui invece si orienta Letta, potrebbe aiutare a ricomporre la coalizione di centro-sinistra già nelle urne, grazie appunto al secondo turno, ma richiede un di più di unità e coordinamento rispetto al proporzionale puro.

È però questa una riforma ambiziosa, che difficilmente potrà passare: conviene in modo chiaro solo al Pd, che è appena la quarta forza in parlamento. Più probabile quindi che si vada al voto con la legge attuale, che è un sistema misto, di maggioritario a turno unico (37 per cento) e proporzionale: e che lascia intatto il problema di costruire una coalizione larga già prima del voto, per essere competitivi anche nei collegi maggioritari.

Forse da qui al voto politico una soluzione c’è. Ma non passa tanto dalla legge elettorale (che peraltro appunto non cambierà). Ma dai programmi, e dalla visione strategica: il Pd deve farsi carico di una proposta che tenga insieme la nuova coalizione sul piano sociale, innanzitutto, e che da lì riesca a parlare all’intero Paese.

Idee per l’Italia

Per farlo, a mio giudizio c’è un punto da cui partire: le politiche contro le disuguaglianze, per l’emancipazione, portano a una migliore valorizzazione di ogni cittadino e sono, quindi, anche un fattore di crescita e modernizzazione, per il paese. Anche le politiche ambientali possono diventare una grande leva di innovazione, architrave di un modello di sviluppo incentrato sulla qualità della vita, in cui diritti civili, sociali e ambientali si legano insieme.

Diversi gli esempi possibili. La lotta all’evasione non è un aspetto di modernizzazione del paese, oltre che di equità? E non lo è del resto più in generale una riforma fiscale che riduca il peso delle tasse sul lavoro e sul ceto medio, spostandolo sulla rendita? 

Ma lo è anche, contrariamente a quel che si crede o che si è raccontato finora, contrastare il precariato e tornare a tutelare la dignità dei lavoratori: un lavoro ben retribuito è una spinta alle imprese per innovare, e per competere sulla qualità invece che sui costi; il contrasto al nero e all’illegalità premia gli imprenditori migliori, a scapito dei furbetti. E ancora, investire nell’istruzione, lì dove l’Italia è fanalino di coda dei paesi avanzati: primo ingrediente dell’ascensore sociale, ma anche della crescita (e se vogliamo pure di civismo). E poi: le politiche per l’innovazione, che guidino la transizione energetica e quella digitale, assieme all’Europa; e accanto a esse, tornare a una pubblica amministrazione sugli standard di un paese avanzato, riformata ma anche rinvigorita; e la sanità, pubblica, come un grande settore ad alta formazione, che crea benessere, garantisce diritti sociali e al contempo sta sulla frontiera delle tecnologie più avanzate.

Sono idee condivise ormai da tutte le forze progressiste dell’Occidente. Ma che, nel caso italiano, hanno un valore in più: perché aiutano a fare uscire il paese dal declino, a modernizzarlo, e quindi sono utili a tutti. Se il Pd partirà da questa impostazione, sarà in grado non solo di ricompattare la coalizione, ma anche di tornare a renderla davvero competitiva con il centro-destra, grazie a un messaggio che può entusiasmare e a un’idea chiara e coerente sul futuro dell’Italia. La soluzione c’è. Ed è anche, in fondo, quella alta dell’impegno politico.

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