Finora Giorgia Meloni ha ricevuto un trattamento di favore dai media ma anche dagli avversari politici, più spaventati dal populismo cinico di Matteo Salvini che dalla destra, diciamo così, tradizionale rappresentata da Fratelli d’Italia.

La propaganda social leghista, la capacità di imporre temi nell’agenda pubblica – dai migranti alla legittima difesa – ha spaventato più del messaggio di Meloni, all’apparenza assai meno innovativo nelle forme e nelle parole d’ordine.

Ma svanita l’illusione populista, stanno tornando le ideologie. Non nella loro forma articolata novecentesca, ma in una versione condensata, con la violenza sublimata via social, quasi sempre. Meloni resta l’ultima opzione di quel blocco consistente di elettorato che sceglie sempre il leader emergente, non ancora logorato dal potere, a danno di quelli già noti, dunque parte di un “sistema” da contestare.

Eppure, da molti punti di vista, Giorgia Meloni è assai più inquietante di Salvini: a differenza della Lega, non ha alcuna coerente visione economica della società, ma solo una melassa composta di protezionismo, sussidi, redistribuzione a debito e poco altro. Si oppone a qualunque estensione dei diritti civili, messaggio tanto più efficace sul suo mondo perché viene da una donna.

E poi, Giorgia Meloni, guida una forza che è per sua natura anti-sistema, perché ultima erede di quella cultura politica che la Costituzione e le istituzioni repubblicane nascono per arginare.

Lei è riuscita a ipnotizzare tutti, spiegando che è di destra, ma non di quella destra, che certi eccessi non li tollera. Eppure guardate gli ultimi fatti rilevanti.

 Il suo capodelegazione in Europa, Carlo Fidanza, si è autosospeso perché ripreso da Fanpage in compagnia di neofascisti e neonazisti. E Fidanza, come Meloni, è tra i fondatori del progetto di Fratelli d’Italia. A Milano Chiara Valcepina, la candidata di riferimento dei neonazisti di Fanpage, stava nelle liste di Fratelli d’Italia ed è stata eletta con 903 preferenze. Eletto pure Francesco Rocca, altro consigliere sostenuto dal “barone nero” Roberto Jonghi Lavarini e soci.  

A Roma Meloni ha imposto al centrodestra come candidato sindaco Enrico Michetti, uno che due anni fa ancora vellicava il peggiore antisemitismo con discorsi in radio sugli ebrei che avevano le banche e cavalcavano i film sulla Shoah. Dell’assalto alla Cgil dice che è violenza, certo, ma non identifica la “matrice”, come se storia, tatuaggi, bracci tesi e slogan di Roberto Fiore e soci si prestassero a mille interpretazioni.  Mentre a Roma volavano manganellate, Meloni stava in Spagna ad arringare (in spagnolo) i nazionalisti di Vox, a tessere alleanze di estrema destra.  

Tutto indica che l’ascesa di Giorgia Meloni è da considerare come quella di Marine Le Pen in Francia o come il possibile ritorno di Donald Trump negli Stati Uniti: una minaccia alla tenuta della nostra democrazia. Una minaccia che si combatte con la netta affermazione dei valori sui quali la nostra democrazia è fondata, senza alcuna indulgenza. Meloni sta da una parte, la democrazia e le istituzioni italiane dall’altra.

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