Filippo Spiezia è autore di Attacco all’Europa – Atlante del crimine per capire le minacce, le risposte e le prospettive. E’ vicepresidente di Eurojust, l'agenzia europea per la cooperazione giudiziaria contro il crimine organizzato.


L’omicidio di Samuel Paty, l’insegnante decapitato il 16 ottobre  dal fondamentalista islamico Abdullakh Anzorov, e l’attacco a Nizza nella basilica di Notre Dame dimostrano che la minaccia terroristica resta alta in Europa. Continua l’attuazione di un programma basato sulla “chiamata individualizzata alla jihad”, lanciata dall’Isis affinché la causa terroristica fosse sostenuta da qualsiasi simpatizzante, e tramutata in azione nel proprio contesto territoriale.

Oggi si registra il rientro in Europa dei foreign fighters e dei loro fiancheggiatori sfuggiti alla cattura delle forze della coalizione internazionale. In alcuni casi si tratta di soggetti molto radicalizzati, con grande dimestichezza con l’uso di armi ed elevate capacità belliche. Tali soggetti, sfruttando talvolta anche le rotte della migrazione illegale, si attestano nei paesi europei o in territori di confine, specie nell’area balcanica e sulla frontiera turca, e mantengono la loro capacità relazionale-criminale. Possono alimentare l’azione di quanti, rimasti in Europa, restano sensibili al fascino dell’Isis.

In questo contesto, il web rimane un potente strumento per i gruppi terroristici di ispirazione islamica: un permanente veicolo di diffusione di contenuti apologetici per fomentare una guerriglia diffusa, che prova a strumentalizzare condizioni di disagio sociale in gruppi non sufficientemente integrati.

Nel caso del professore che aveva mostrato ai suoi alunni le vignette del profeta Maometto pubblicate da Charlie Hebdo, è importante tener conto dei momenti precedenti all’attentato. Il padre di un’allieva del professore aveva diffuso un video che mostrava la lezione sulle caricature di Maometto fatta da Samuel Paty. L’uomo era in contatto, via WhatsApp, con il diciottenne attentatore nei giorni prima dell'attacco. In questo omicidio, dunque, un ruolo fondamentale è stato giocato dal materiale diffuso tramite social, che ha contribuito a motivare l’assassino.

Sul lato della prevenzione operativa e investigativa, è necessario intervenire tempestivamente sui contenuti online filoterroristii. Nel 2018 la Commissione europea ha proposto nuove norme per rimuovere i contenuti terroristici dal web entro un’ora in tutta l’Ue. L’adozione di tale proposta di atto normativo è stata supportata in particolare da Francia e Germania. L’atto, tuttora in discussione, ha però trovato una difficile accoglienza da parte del parlamento europeo e dei difensori del diritto fondamentale di espressione e informazione.

L’Ue ha anche avviato iniziative di approfondimento in materia di radicalizzazione politica e religiosa, ispirate da principi guida quali il coinvolgimento della “società civile” nelle sue diverse articolazioni, incluse le comunità religiose; un approccio locale e incentrato sul caso concreto; un intervento coordinato e multidisciplinare. Non sempre però queste direttive si traducono in misure concrete e coordinate a livello nazionale.

Certo, a livello giudiziario e di intelligence sono stati compiuti molti progressi: in particolare, l’istituzione nel 2018 di un registro europeo sull’antiterrorismo giudiziario gestito da Eurojust. Ma molto resta ancora da fare e gli episodi avvenuti in Francia ne sono la prova. È necessario rafforzare i controlli e l’intervento tempestivo sul web, ma anche nel campo del coordinamento e dell’interscambio informativo vanno rimossi alcuni indugi.

Si osserva ancora un malinteso ossequio al principio di sovranità statuale da parte di alcuni attori, che non favorisce l’affermazione di un modello operativo incentrato sulla condivisione di informazioni e strategie a livello sovranazionale. Lo spazio dell’Unione europea e la sua caratteristica di area senza barriere interne hanno aperto opportunità per la criminalità e il terrorismo che gli stati membri non sempre hanno realmente controbilanciato con una politica integrata ed efficace.

La cosiddetta “libera disponibilità” delle informazioni è infatti presente nei documenti programmatici e politici dell’Unione sin dal 2004. Tuttavia, come spesso accade, alle parole non sono sempre seguiti i fatti: all’autorità che ne ha bisogno mancano a volte le informazioni necessarie nel momento giusto.

Occorre comunque evitare soluzioni affrettate che attribuiscano nuove e più estese competenze al neocostituito ufficio del procuratore europeo prima di vederlo all’opera e verificare la bontà della sua azione.

Altre soluzioni sono attuabili in brevissimo tempo: penso al conferimento di effetti vincolanti all’azione di Eurojust, secondo le possibilità offerte dall’art. 85 del Trattato di Lisbona, perché i problemi transfrontalieri hanno messo in discussione la capacità dei singoli paesi di agire da soli ed esigono una risposta rafforzata a livello europeo.

Infine, non bisogna trascurare il nesso fra terrorismo e criminalità organizzata. Le indagini sono state tradizionalmente ostacolate dall’idea che i due tipi di organizzazioni abbiano obiettivi diversi e in definitiva inconciliabili. Per lungo tempo questa dicotomia ha autorizzato la conclusione che i gruppi terroristici non avrebbero intrapreso attività criminali in quanto ciò sarebbe stato contrario ai loro obiettivi ideologici, ma già da diversi decenni, in realtà, ci sono interessi comuni.

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