e il cambiamento climatico fosse una questione di pubbliche relazioni, ricorderemmo il governo Conte bis come quello della svolta. Ha ricevuto i Fridays for Future agli Stati Generali, ha parlato con Greta Thunberg in videoconferenza e a parole è stato quasi sempre dalla parte giusta.

I fatti però raccontano un’altra storia.

Al suo debutto alla Camera il presidente del Consiglio aveva promesso un Green Deal italiano, menzionato poi a ogni incontro internazionale prima della pandemia, promessa passepartout per non sfigurare mai. Sugli orizzonti a lungo termine il governo ha potuto diluire  l’impegno dentro le ambizioni europee di decarbonizzazione.

Sull’applicazione concreta poi si vedrà, intanto le rinnovabili continuano a crescere troppo lentamente rispetto al potenziale, i sussidi alle fonti fossili sono sempre lì e non si è nemmeno riusciti a bloccare le nuove ricerche di petrolio e gas.

Conte aveva promesso rigenerazione urbana, ma la legge sul consumo di suolo è stata evocata, annunciata, promessa, richiesta (anche dal ministro Costa) senza mai uscire dalle secche di lobby e interessi vari.

È un vuoto grave che questo governo lascia, perché la lotta ai cambiamenti climatici è globale, ma l’adattamento è locale (a proposito, dove è finito il piano nazionale di adattamento al clima? E la strategia nazionale forestale?).

Il Covid ha stravolto le priorità e dirottato le energie, ma il Conte bis è un’occasione sprecata soprattutto perché l’ambiente era uno dei pochi punti di contatto politici reali tra Pd e Movimento Cinque stelle. Sono stati sostanzialmente sedici mesi persi ed è doppiamente grave, se pensiamo a come potrebbe essere composto il prossimo parlamento in fatto di sensibilità ambientale.

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