E poi dicono che sui social si perde solo tempo! I sostenitori di Trump avevano da poco assalito il Congresso e già Twitter ribolliva delle considerazioni dei progressisti italiani. Un tweet dell'ex ministro Fabrizio Barca accennava ad un rapporto fra l'aumento delle disuguaglianze e dell'insicurezza sociale e la fragilità della democrazia, non solo americana.

Luigi Marattin di Italia Viva e Piercamillo Falasca replicavano duramente, vedendo in tale lettura quasi una giustificazione dei comportamenti illegali dei manifestanti.

Sempre su Twitter, Carlo Calenda si schierava con Barca ricordando, giustamente, che da tempo i liberali si preoccupano dei danni provocati dalla disuguaglianza e delle promesse non mantenute dall' ordine democratico post ’89.

Tutti i confronti sullo stato di salute della democrazia sono utili e meriterebbero di essere affrontati più spesso, anche fuori dai social. Davvero può aver senso contrapporre la fermezza nella difesa dei principi liberali e l’attenzione nella ricerca delle cause dei pericoli che possono incontrare?

Noi siamo convinti di no e pensiamo che una strada per irrobustire le basi sociali della democrazia passi dalla capacità di integrare il meglio delle culture politiche democratiche in rapporto alle sfide che la contemporaneità ci propone.

Andava in questa direzione un intervento pubblicato da Emanuele Felice e Giuseppe Provenzano sulla rivista il Mulino 6/2019, dal titolo Perché la democrazia è in crisi? Socialisti e liberali per i tempi nuovi, che poi ha dato vita a un nutrito dibattito sulla rivista Pandora e nei seminari organizzati dal nostro DANE - Osservatorio Democrazia a Nordest, con la Fondazione Circolo Rosselli.

È emersa da questi confronti l'esigenza che il patrimonio ideale offerto dal liberalismo e dal socialismo debba essere posto al centro della riflessione delle forze progressiste contemporanee.

Il primo dei due termini rimanda ad una condizione fondamentale della democrazia moderna, giacché essa può concretamente nascere e consolidarsi solo in presenza dell’affermazione del costituzionalismo liberale.

La confusione sui termini

Il padre della moderna scienza politica italiana, Giovanni Sartori, ricordava che «la democrazia senza il liberalismo nasce morta. Vale a dire, assieme alla liberal-democrazia muore anche la democrazia comunque la si voglia intendere» (Democrazia. Cosa è, Rizzoli, 1993).

Lo stesso Sartori ha sottolineato la differenza fra il liberalismo politico e il liberismo economico, essendo, il liberalismo politico soprattutto una teoria e una prassi della libertà personale, della protezione giuridica e dello Stato costituzionale.

La confusione fra i due termini è data, per Sartori, dal fatto che “liberismo” è un termine che ha diffusione in italiano, ma contraddistingue solo il dibattito italiano.

Tale confusione dei termini, per cui sovente il “liberalismo” è appiattito sulle posizioni del “liberismo”, conduce a presentare come compatibili con un ordine politico liberale soltanto le concezioni dell’economia e della società ispirate al liberismo, a scapito delle diverse forme assunte dal socialismo democratico.

Eppure, nel corso del Novecento, è stato possibile constatare come la socialdemocrazia sia compatibile con il liberalismo politico, smentendo le convinzioni di Hayek, secondo cui l’intervento pubblico in economia conduce al totalitarismo. In particolare, se consideriamo le democrazie del secondo Novecento, possiamo affermare che il “compromesso socialdemocratico”, con il riconoscimento dei diritti sociali e lo sviluppo del welfare, ha contribuito in modo sostanziale alla stabilità e riproduzione nel tempo di sistemi politici in grado di garantire in modo inedito nella storia livelli di libertà e uguaglianza ai propri cittadini.

Non dimentichiamo che esiste un forte legame fra libertà e uguaglianza in una feconda tradizione di pensiero che alimenta il liberalsocialismo italiano ed in una corrente intellettuale che da Gaetano Salvemini passa per Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, Norberto Bobbio e l’ultimo Sartori, molto critico rispetto agli eccessi del capitalismo globalizzato.

È una corrente di pensiero molto presente nella Resistenza: ne è intriso, ad esempio, un capolavoro della letteratura italiana del Novecento, I Piccoli Maestri (Rizzoli, 1976) di Luigi Meneghello, che descrive la Resistenza sulle montagne del Vicentino.

Dalle culture del liberalismo e del socialismo democratico possiamo trarre importanti indicazioni. Ma dobbiamo ripensarne l’insegnamento di fronte alle grandi sfide di oggi: oltre alla questione storica concernente il lavoro, è necessario confrontarsi con i limiti ambientali e sociali della globalizzazione e la persistente, ineludibile necessità di ridurre le disuguaglianze. Ed è altresì necessario ripensare al ruolo dell’inclusione sociale, valorizzando i beni comuni nelle loro diverse forme.  

Intorno a lavoro, ambiente e inclusione – in una prospettiva neosocialista, liberaldemocratica e “commonista” – è possibile rivolgersi a porzioni della società potenzialmente maggioritarie in tutte le società a capitalismo avanzato.

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