Mentre il piano per l’utilizzo dei fondi europei è ancora avvolto nella nebbia, la legge di bilancio per il 2021-2023 è all’esame della Camera. Quali indicazioni si possono trarre sulla strategia del governo per il dopo pandemia guardando ai programmi di bilancio a medio termine? I riflessi sul 2023 delle misure di questa legge di bilancio (i suoi effetti permanenti quando la pandemia si sarà esaurita) consistono di riduzioni di entrate per quasi 7 miliardi e aumenti di spese correnti per oltre 13 miliardi, quindi un maggiore disavanzo di circa 20 miliardi, che diventano 17 miliardi tenendo conto che la spesa per investimenti mostra una diminuzione di quasi 3 miliardi rispetto alla legislazione vigente.

La riduzione degli investimenti dovrebbe essere più che compensata utilizzando i trasferimenti a fondo perduto del Recovery fund europeo, 26 miliardi nel 2023 secondo la stima esposta nella Nota di aggiornamento del Def a inizio ottobre.

Ecco un primo aspetto non proprio incoraggiante: non tutti i trasferimenti dalla Ue andranno a incrementare la nostra spesa per investimenti pubblici, una parte servirà a compensare la riduzione del volume di risorse già stanziato in passato. L’aumento di disavanzo di 17 miliardi nelle stime ufficiali si trasforma in una riduzione di 3,5 miliardi (sufficiente a portare il rapporto deficit/Pil nel 2023 al fatidico 3 per cento), grazie a una “retroazione fiscale” stimata, in modo ottimistico, in 20,5 miliardi.

La retroazione è una stima della misura in cui il disavanzo “si finanzia da solo” grazie ai suoi effetti benefici sull’economia l(a manovra di bilancio e i trasferimenti europei stimoleranno la crescita dell’economia, il che si tradurrà in un maggior gettito fiscale).  

Quanto più il disavanzo deriva da interventi ad alto impatto immediato (con un elevato moltiplicatore fiscale) sull’economia e tali da migliorare il potenziale di crescita a medio termine tanto maggiore (e duratura) sarà la retroazione fiscale.     

Il moltiplicatore basso delle famiglie

Quali interventi determinano le maggiori spese correnti e le minori entrate nel 2023? Le voci più importanti sono rivolte alle famiglie e riguardano il sistema imposte/sussidi: il fondo per l’assegno unico per figli a carico (5,5 miliardi), la stabilizzazione del bonus 100 euro, l’ex bonus Renzi (2 miliardi) e un fondo per la riforma dell’Irpef (1,5 miliardi).

L’assegno unico è un nuovo schema, esteso anche ai lavoratori autonomi, che sostituisce quelli attuali (assegni familiari, ecc.) e dovrebbe partire a metà 2021 (dopo l’approvazione di una legge delega). Misure che al di là dei loro indubbi meriti (l’Irpef è ormai un’imposta caotica e inefficiente e la denatalità va contrastata anche con trasferimenti monetari alle famiglie) sono caratterizzate da un moltiplicatore relativamente basso, certamente ben inferiore a uno.

Altrettanto rilevante è la decontribuzione per il Sud (4,6 miliardi) che riduce del 30 per cento gli oneri previdenziali a carico dei datori di lavoro. Si tratta di una misura che certamente aumenta la competitività delle imprese (abbassando il costo del lavoro) ma anche per come è disegnata (rivolta a tutte le imprese senza alcun tentativo di selettività) è presumibile che non faccia fare passi avanti verso il miglioramento della produttività necessario per l’economia del Mezzogiorno.

Nel bilancio non c’è molto, insomma, del tipo di interventi in grado di far aumentare il potenziale di crescita della nostra economia. Per investimenti pubblici e sostegno degli investimenti privati (le voci con il moltiplicatore più alto) dovremo attendere il Recovery plan.

L’attesa infinita del Recovery

Per ora la legge di bilancio istituisce un fondo che sarà alimentato dai contributi europei e dà indicazioni molto parziali, “per memoria” come si legge nel prospetto riepilogativo, delle sue destinazioni: nel 2023 circa 7 miliardi in crediti di imposta per investimenti e ricerca. Una legge di bilancio coordinata con gli obiettivi del Recovery plan sarebbe stata una scelta migliore.

Solo per fare un esempio, per il 2023 è stanziato circa un miliardo per i contratti del pubblico impiego e per nuove assunzioni. Sarebbe bene indirizzare risorse per migliorare la capacità tecnica della nostra amministrazione nella progettazione degli investimenti pubblici, uno dei fattori che spiegano la nostra difficoltà strutturale a spendere le risorse stanziate. Assumere ingegneri richiederebbe retribuzioni attraenti e quindi una revisione del sistema delle carriere nel pubblico impiego. Di nuovo, attendiamo fiduciosi il Recovery plan.

Da esso dipenderà il futuro della nostra economia e, quindi, la tenuta dei conti pubblici. Un insuccesso significherà ritrovarci tra qualche anno con un’economia tornata a crescere al ritmo dell’ultimo decennio (meno dell’1 per cento l’anno) e un debito pubblico molto maggiore di quello previsto oggi anche grazie alla retroazione fiscale. Come reagiranno mercati e Unione europea?

Il costo differito dei regali 

Si discute molto del Mes e del rischio delle sue condizionalità per la nostra sovranità fiscale futura. É singolare che nessuno si preoccupi delle implicazioni politiche (forse più importanti di quelle giuridiche) dei trasferimenti a fondo perduto del Recovery fund.

Nelle discussioni con i partner europei che ci sollecitavano a rientrare dal nostro debito pubblico e nelle polemiche frugali vs. cicale, un argomento forte è sempre stato che il nostro debito non è costato un centesimo ai contribuenti dei paesi frugali o della Germania (semmai il contrario, pensando al sostegno alla Grecia e ai suoi creditori tedeschi e francesi).

Nel 2023 questo argomento non potrà più essere usato per convincere governi e opinioni pubbliche di quei paesi. Hic Rhodus, hic salta.

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