Ricordate la “Dolly Parton challenge”, meme-tormentone lanciato dall’omonima cantante statunitense, che ci ha tenuto compagnia per buona parte del 2020? Bene, continuerà a farlo anche nella primavera estate 2022, questa volta attraverso il nostro guardaroba.

La challenge in questione, diventata virale sul web, prevede l’accostamento di quattro immagini diverse della stessa persona, adattate al social network dove sono pubblicate: sorridente (e nazional popolare) su Facebook, professionale su Linkedin, artistoide su Instagram, sexy su Tinder. In sintesi, un solo individuo con multiple personalità.

Uno scenario che sembra riflettere alla perfezione non solo le interazioni social e sociali cui tutti siamo esposti oggi online, ma anche la quotidianità offline: non è un mistero che i riti collettivi figli della rete, dai balletti di TikTok ai “selfie” e alle “dirette” su Instagram, abbiano ormai influenzato le nostre abitudini, specialmente quelle delle nuove generazioni, sempre al centro dell’attenzione quando si parla di nuovi trend di consumo.

Così la moda, in prima fila nel proporre e nell’intercettare stili e tendenze, corre ai riparti, lanciando capi e accessori in grado di esprimere più aspetti (o etichette) della personalità.

Stratificazione estetica

Dalla donna in carriera vestita Giorgio Armani alla leggiadra “farfalla” di Valentino Garavani, fino all’affascinante seduttrice firmata, dalla testa ai piedi, Gianni Versace.

C’era una volta la florida industria della moda, dove ogni marchio era fortemente connotato dallo stile e dalla personalità del suo direttore creativo. Stilisti che riflettevano ideali estetici ben delineati, diversi da quelli dei concorrenti, proponendo ai consumatori non solo capi di abbigliamento ma universi simbolici e valoriali cui sentirsi parte.

Oggi, in tempi di post pandemia, le esigenze dei consumatori e di quella giovane generazione Z o generazione delle reti (classificata dall’Istat, tra i 7 e i 25 anni) corteggiata dai marchi, virano verso altri lidi: personalità più fluide così come i guardaroba, differenze di genere annullate e una multiculturalità che si traduce in stratificazione estetica, valoriale, sociale. Insomma un capo senza etichette o meglio con due, se non tre.

A sottolinearlo sono anche le macro tendenze individuate da Wgsn, società specializzata nel trend forecasting – fondata nel 1998 a Londra, di casa a New York – abile nel captare oggi quello che andrà di moda domani: nel report The Gen Z Equation, 54 pagine a cura di Sarah Owen, senior editor di Wgsn, tra le parole più rappresentative per descrivere gli zoomer – come si autodefiniscono ironicamente gli adolescenti per contrapporsi ai boomer (nati tra il 1946 e il 1964) – svettano “fluidità, “apertura”, “collaborazione”, “inclusione”. Per vender loro un capo, dunque, tocca rivedere stile e strategie di marketing.

Ma se il gender fluid o genderless, ovvero la collezione indossabile sia da lui che da lei, è ormai sdoganata da anni sulle passerelle, il logo, cioè la vera carta d’identità del brand, protetta e tutelata anche dalla legge, sembrava essere l’ultimo grande tabù. Da non contaminare, almeno fino a ieri.  

Un cambio di rotta che coinvolge in prima linea i grandi marchi internazionali, quelli dall’estetica ben delineata da decenni di sfilate, che oggi corrono ai ripari, unendo forze e creatività.

Vanno in questa direzione molte delle collezioni presentate nel 2021, prontamente ribattezzate “co.lab”, parola macedonia più accattivante per i giovani consumatori del termine “collaborazione”. Presentare inoltre una collezione realizzata in tandem con un altro stilista famoso, equivale a trasformarla in un doppio evento, anche mediatico, facilmente spendibile sui social network.

Capi multi-logo

Tra le co.lab di successo svetta quella di Alessandro Michele, direttore creativo del marchio Gucci che ad aprile 2021, in occasione della sfilata autunno-inverno 2021-2022 Aria, ha portato in passerella capi e accessori firmati non solo Gucci ma anche Balenciaga (entrambi i brand sono sotto l’egida del colosso francese Kering) in una collezione, chiamata non a caso, The Hacker Project.

Un rimescolamento di carte, ma anche di stoffe e pellami, che ha unito due universi dall’estetica diversa: dalla borsa icona “Jackie 1961”, decorata con il logo Balenciaga, al modello di scarpe da ginnastica “Triple S”, rieditate con la storica stampa Flora. Accessori diventati eventi mediatici sul web, nell’anno in cui la casa della doppia G celebra cento anni dalla sua fondazione.

A ripercorrerne, tra l’altro, una delle pagine più buie della sua storia è la pellicola House of Gucci di Ridley Scott, sbarcata in questi giorni (il 16 dicembre) nelle sale cinematografiche italiane, con tanto di Lady Gaga nel ruolo di Patrizia Reggiani e di Adam Driver in quello di Maurizio Gucci.

Per ribadire il concetto (e ricambiare il favore) anche Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga, presenta per la primavera-estate 2022 la collezione Clones, dove a essere “hackerata” è questa volta l’azienda di moda fondata nel 1921 da Guccio Gucci.

Ma le collaborazioni messe a segno con successo dal marchio sono numerose, da quelle con The North Face, ispirate all’abbigliamento outdoor, alla borsa in edizione limitata, creata in tandem con il brand giapponese Comme des Garçons: un ossimoro stilistico dove il massimalismo estetico di Alessandro Michele incontra il rigore minimalista di Rei Kawakubo. 

A fare notizia è anche l’incontro creativo tra altri due colossi della moda, Fendi e Versace, appartenenti però a due gruppi diversi e concorrenti (Lvmh il primo, Capri Holdings il secondo): a settembre 2021, in occasione delle sfilate a Milano, hanno presentano Fendace ovvero Versace x Fendi e Fendi x Versace, reinterpretando a vicenda lo stile del marchio rivale. Così Donatella Versace e Kim Jones, direttore creativo della linea femminile di Fendi, si sono scambiati i ruoli per la prima volta, conquistando l’attenzione del web.

Ma l’idea di lavorare a quattro mani piace anche ad altre due leggende italiane della moda mondiale come Max&Co., marchio del gruppo Max Mara, e Margherita Maccapani Missoni, direttore creativo di M Missoni e nipote di Ottavio e Rosita, fondatori nel 1953 (anno del loro matrimonio) della casa di moda che ha scandito la storia della maglieria. Sarà infatti la giovane stilista  a creare, in veste di guest designer per Max&Co., la prima collezione di una lunga serie, ribattezzata &Co.llaboration: i capi, in vendita a partire da febbraio 2022, includono stampe floreali d’archivio impresse su mini abiti e margherite ricamate su jeans e camicie.

Fare squadra, o quanto meno accantonare per un paio di stagioni la rivalità, sembra essere oggi la chiave per ripartire, puntando su un made in Italy che, alla tradizione e all’eccellenza della sua filiera produttiva, aggiunge un tocco di fluida e più attuale creatività.   

Nemici-Amici

E pensare che un tempo si parlava persino di rivalità tra stilisti, sia nella vita privata sia nei backstage, tra sgarbi, scorrettezze, ma anche commenti al vetriolo. Altro che esempi virtuosi di solidale collaborazione.

Epici, ad esempio, i racconti della rivalità tra la creativa italiana Elsa Schiaparelli e la francese mademoiselle Coco Chanel, riportati nel volume Le Rivali. Dieci donne di talento che hanno cambiato la storia scritto dalla giornalista Paola Calvetti ed edito da Mondadori, o nel memoir In my Fashion (Secker & Warburg, London, 1960) di Bettina Ballard, ex potente direttrice di Vogue America (erano gli anni Cinquanta).

Entrambe le autrici rievocano quando, durante una festa in maschera, il sontuoso “Ballo della foresta” nella campagna di Mortefontaine in Francia, la fondatrice della maison di rue Cambon spinse contro un candelabro la collega italiana, di tutto punto vestita, per l’occasione, da albero surrealista. Era una calda serata di luglio, 1939. Oggi magari avrebbero collaborato con fluida nonchalance.

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