Quali siano i motivi reali, profondi, che hanno spinto Maicon Douglas Sisenando, noto al mondo calcistico, e non solo, con il più secco e semplice Maicon, classe 1981, un metro e ottantaquattro d’altezza per settantasei chili di peso, peso forma s’intende, ad accettare l’offerta di una squadra dilettantistica del veronese, il Sona, non è dato sapere. E tutto sommato di questi motivi se ne può fare a meno. In fondo, non è questa forse la meravigliosa epoca della post-verità?

Maicon, proprio lui. La domenica scenderà in campo con i dilettanti, perlopiù ragazzi che non calcheranno mai i prati dei grandi catini delle serie professionistiche, per contribuire alla vittoria della sua squadra. Il Sona, appunto. Lui, eroe del triplete nerazzurro, di bellissime stagioni anche alla Roma, senza contare i trofei vinti nella sua terra natia e con la maglia verde e oro, si ritroverà contro avversari che di professione fanno altro, ma che come lui non riescono a non farsi catturare dal rettangolo verde, dall’undici contro undici. Il calcio. Per generazioni, popoli, l’unica liturgia in grado di resistere al nulla che avanza. Perché quando un arbitro centra la palla e porta il fischietto alla bocca per il calcio d’inizio, tutto il resto può aspettare. Si può essere docenti universitari, calciatori al crepuscolo o idraulici, avvocati, scrittori: nulla resiste a un pallone che rotola.

In questa penuria di narrazioni aldilà della triste cronaca, ecco ergersi Maicon, eroe dei due mondi, a dire all’italiano medio, mediamente infelice, che per i sentimentali e romantici sognatori c’è ancora terra da battere, case da abitare. Non toglieteci anche l’epica dell’ideale, del mito domenicale che gonfia la rete.

Questa sera, in tanti, tantissimi, chiuderemo gli occhi e ci faremo cullare da questa speranza risorta. Esistono campioni che pur di non smettere gli scarpini scendono a patti con tutto, a cui nessuno può togliere una fascia destra da percorrere in progressione, saltando come birilli gli avversari, per scodellare al centro il traversone dei traversoni, tagliato alla perfezione, una lama sopra le teste dei difensori, preciso sulla testa del compagno. Poi è goal. È la fine della guerra. È gioia e pace nel mondo. Almeno per un fottutissimo minuto.

In questo parossismo da clausura pandemica, eccolo, il gigante Maicon, uomo tra gli uomini, messianico e umanissimo, sovrappeso, fare il suo ingresso nel tempio, urlare sino all’iperuranio che lui c’è e resiste. Tutti di corsa a scaldarsi.

C’è chi giura, al pari dei tanti Giuda che hanno macchiato ogni credo, che sia tornato in Italia per gestire i suoi affari nel milanese, altri affermano che durerà il tempo di un turno di campionato.

Maicon, mio capitano, non sentire queste lingue indemoniate, io ti sono al fianco, fagli vedere ancora quanto vali, involati, poi con il tuo viso da teatrante pazzo, con occhi spiritati, fagli vedere a quale eterna adolescenza porta la passione.

© Riproduzione riservata