Siamo sull’orlo di una crisi energetica, mentre imperversa una guerra, dopo anni di crisi pandemica. Mai come oggi il ruolo della politica, come figura guida della società globale, si è rivelato tanto indispensabile ed essenziale quanto fallimentare. L’attuale guerra in Ucraina è un deprecabile esempio di questo fallimento, consumato sulle spalle e sulla vita di persone innocenti. La guerra in sé è sempre un fallimento e deve essere condannata. Nel frattempo, la situazione climatica necessita di risposte politiche coraggiose e decise.

La crisi russo-ucraina apre, inoltre, un'importante questione dal punto di vista energetico per tutta l’Europa e, in particolare, per l’Italia che dipende per più del 40 per cento dalle forniture di Mosca. I prezzi dell’energia sono saliti alle stelle e c’è il rischio che da un giorno all’altro si chiudano i rubinetti di gas. L’Italia potrebbe rimanere, non molto romanticamente, al lume di candela. Il governo Draghi ha subito disposto misure di emergenza, ma invece che cogliere l’occasione per dare una svolta al sistema energetico italiano, investendo massicciamente in fonti di energia pulita e a portata di mano, ha preferito rimanere, per così dire, fossilizzato.

Le alternative

Mentre si cercano nuove forniture di gas dall’Algeria e si pianifica l’approvvigionamento dagli Stati Uniti, fa discutere il piano di riaprire le centrali a carbone. Non si tratta di un compromesso accettabile in ragione dell’emergenza e adottabile solo per un breve periodo, ma di una manovra che ritarderà il percorso di decarbonizzazione dell’Italia di svariati anni, vincolandoci a infrastrutture e fonti fossili. Il carbone costituiva al massimo il 5 per cento della produzione di energia nazionale, a fronte di alti tassi di inquinamento ed emissioni. Difficilmente riaprire un paio di centrali, come quella a La Spezia o a Civitavecchia, farà la differenza sul piano della sicurezza energetica. 

Per garantire un backup di medio-breve periodo al paese sono sufficienti le risorse che già abbiamo e le centrali che già sono attive, basterebbe farle andare a pieno regime in caso di necessità.

Nel frattempo, potremmo concentrare attenzioni e risorse nel percorso che ci emanciperebbe definitivamente da queste problematiche, e che stiamo solo procrastinando colpevolmente da troppi anni. Secondo uno studio del think thank ECCO, l’Italia potrebbe dimezzare la dipendenza dalla fornitura russa entro il prossimo inverno, senza ricorrere a nuove implementazioni di gas o carbone. Il tutto con un risparmio complessivo in bolletta di ben 14,5 miliardi.

Questo sarebbe possibile sviluppando un sistema a energie rinnovabili combinate, unito ad una smart-grid per la gestione e distribuzione intelligente ed efficiente dell’energia, che ci garantirebbe energia pulita e sicura per il futuro. I tempi tecnici sono, in realtà, esigui rispetto ad altre soluzioni: le tempistiche di costruzione di un impianto possono essere stimate tra i 6 e i 12 mesi.

La grande variabile è sempre rappresentata dall’iter burocratico necessario per le autorizzazioni e dalla disponibilità delle comunità locali. Per questo sarà fondamentale equilibrare sapientemente delle strategie di facilitazione delle procedure, garantendo comunque la salvaguardia dei criteri necessari, e delle tecniche di governance capaci di instaurare un sano dialogo diretto con i cittadini per renderli parte del processo e facilitare l’accoglimento.

Le ragioni

Ad oggi ci troviamo in una situazione tanto drastica a causa di una politica che per troppo tempo ha rimandato questa transizione: un azzardo dettato dalla sete di profitto nutrita rispetto ai combustibili fossili.

Se allora avessimo compiuto quanto necessario, l’Italia - così come l’Europa - potrebbe affrontare questa crisi a testa alta, e i cittadini non dovrebbero pagare a caro prezzo le inadempienze della classe dirigente. È una colpa semplicemente imperdonabile, non ci sono fattori scusanti: il momento era propizio, le tecnologie esistevano ed erano già più convenienti delle altre soluzioni.

Ancora più scioccanti sono gli altri strumenti proposti dal governo, come il ricorso ai “distacchi programmati delle utenze”, ovvero, qualora fosse necessario, l’interruzione e il razionamento della fornitura di luce a gas nelle case dei cittadini. Queste azioni di emergenza rivelano quanto, sul piano reale, i combustibili fossili siano meno sicuri rispetto alle rinnovabili, accusate continuamente di essere aleatorie e incapaci di soddisfare la domanda.

Non sarebbe la prima volta, ricordando gli shock petroliferi degli anni settanta, mentre nulla ha empiricamente dimostrato che le soluzioni per integrare sistemi di rinnovabili scientificamente capaci di garantire stabilità energetica, grazie a sistemi di gestione intelligente che integrano diverse tecnologie di accumulo, siano inverosimili. 

Manca un ultimo tassello di questa equazione, tanto banale quanto indispensabile proprio in momenti come questi, evidenziato anche dall’analisi di ECCO. Tutta l’energia che non consumiamo è energia che non dobbiamo riconvertire o acquistare da altre parti.

Semplicemente è un problema in meno. Se pare assurdo è perché siamo abituati a un sistema dove i consumi possono solo crescere, non importa se, come già oggi avviene, consumiamo più di quanto il sistema pianeta può darci in termini di risorse.

È giunto il momento di cambiare il paradigma di base, avviare un esteso programma di efficientamento su larga scala che ci permetta di azzerare gli sprechi. Parallelamente è necessario rimodellare alcuni meccanismi del sistema stesso, come i trasporti, in modo che l’attività umana, ad esempio la necessità di spostarsi, venga soddisfatta consumando semplicemente meno.

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