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«Pensavo che sarei rimasta in quel carcere per 3 anni e mezzo o forse di più», racconta Ikram Nazih, che dice: «Senza l'aiuto dell'Italia non mi sarei salvata». Ikram Nazih è la studentessa italo-marocchina che ha passato due mesi di carcere in Marocco con l'accusa di blasfemia. A giugno era stata condannata a 3 anni e mezzo di carcere e a una multa di circa 4800 euro. Poi, il 23 agosto, il tribunale di appello di Marrakesh ha ridotto la condanna e Ikram è tornata in libertà. A Domani, e a Laura Cappon, racconta quei giorni in carcere. Vi leggo alcune sue parole, tutta l’intervista la trovate sul giornale e online. 

Ikram Nazih dice: «La polizia non mi ha trattato benissimo all'inizio: gli agenti mi dicevano che avrei meritato 5 anni di reclusione per ciò che avevo fatto. Dopo il rinvio a giudizio, il 21 giugno mi hanno portato in carcere. Solo quando sono scesa dalla macchina ho capito che era una prigione. Non leggevo i cartelli ma dalla struttura si capiva benissimo. In quel momento la testa è andata subito ai miei genitori. Loro erano in Francia, ho pensato al dolore che avrei causato loro ma a quel punto non avevo scelta, dovevo farli avvisare. C'è una cosa che non dimenticherò mai: il mio ingresso in cella, ero nel panico, non riuscivo a respirare. Per fortuna, ho conosciuto una ragazza che era già con me in commissariato e con cui ho condiviso un breve periodo di detenzione. Era finita dentro perché aveva aggredito un ragazzo, lo aveva fatto per difendersi dalle sue molestie. Sai quante donne c'erano in carcere senza motivo? Tante. Per esempio, un'altra mia compagna di cella è stata denunciata dal marito solo perché chattava con un altro uomo. Io ero sotto shock. Ero in Marocco solamente per divertirmi, per me questo paese non era quello che ho visto in prigione. Lì dentro c'è tutta un'altra realtà e ci sono persone che, a differenza mia, non hanno nessuno a cui chiedere aiuto».

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