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Davvero pochi tra noi non si saranno accorti del black out dei social network. Lunedì, dal tardo pomeriggio alla mezzanotte, c’è stato quello che passa alla storia come il “Facebook down”, ma che in realtà è anche il “WhatsApp down”, lo “Instagram down”... Insomma in tanti abbiamo gustato il sapore, amaro per alcuni, dolce per altri, di una vita com’era una volta e cioè senza social. Pensate che Edward Snowden, il whistleblower del DataGate, dopo il blackout ha fatto un sondaggio su Twitter: come vivreste all’idea che questo blocco social duri per sempre? Due su dieci pensano che siamo fregati, ma l’80 per cento gli risponde che sarebbe fantastico; un’età dell’oro.

Quello che vi racconto in questa edizione del giornale però è che comunque la si pensi c’è un dato di fatto: quel black out poteva essere evitato. E sapete perché? L’errore tecnico capita a tutti. Ma quando invece centralizzi tutto nelle tue mani, come ha fatto Zuckerberg, quando con smania monopolistica fai tuoi tutti i social emergenti, quando compri WhatsApp, Instagram, e quando ipercentralizzi anche le infrastrutture… Bè, ecco cosa succede. Che poi diventa difficile trovare l’origine del problema, arginarla in tempo. Pensate che il sistema Facebook è così accentrato e interdipendente che neppure i badge dei dipendenti funzionavano. Dopo ore il team spedito al data center di Santa Clara non era ancora riuscito a individuare l’inghippo. Perché subito, come un fiammifero acceso in una grande sterpaglia, l’incendio - pardon, il black out - si era esteso a tutto l’emisfero social facebookiano.

E allora, in conclusione: il facebook down riguarda la tecnologia sì, ma pure la politica. Non a caso la congresswoman Alexandria Ocasio-Cortez nota che “se il comportamento monopolistico di Facebook fosse stato tenuto sotto controllo e frenato quando era il momento, non avremmo patito così il black out”.  Lo slogan di O-C è: «Break them up!». Rompete il monopolio. 

 

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