Vincenzo De Luca ha già vinto le elezioni regionali in Campania e vuole giocare un ruolo nella scelta del nuovo segretario del Pd senza escludere la sua candidatura. Non c’è bisogno di consultare i sondaggi per prevedere l’esito elettorale, i grandi portatori di voti, infatti, si sono tutti spostati verso il presidente uscente.  De Luca ha svuotato, senza neanche troppo spendersi, il centrodestra accogliendo ogni tipo di candidato: condannati, fascisti, transfughi. L'esperimento campano viaggia, in realtà, oltre la collaborazione, trattasi di annessione, ora stanno tutti con lui. Ma l’ex sindaco di Salerno non si ferma. In caso di sconfitta pesante dei democratici alle prossime regionali, la Campania resterebbe l’unica regione del sud, governata dal centrosinistra, e De Luca l’unico vincitore. Così potrebbe decidere di candidarsi alla guida del Pd o, comunque, di ritagliarsi un ruolo decisivo nella scelta del dopo Zingaretti, attuale segretario dei democratici.

La flotta degli ex forzisti

Il presidente uscente ha preparato la sua vittoria durante l’emergenza Covid. Ha usato una comunicazione martellante, continuativa dove il ruolo dell'informazione, tranne rarissimi casi, ha avuto l'effetto moltiplicatore rimandando all'infinito strali, polemiche, invettive del generale De Luca. E così, a dismisura, è cresciuto il consenso. De Luca che ammonisce, che sorveglia, bacchetta, rassicura e, se occorre, manda «i carabinieri con il lanciafiamme». Ora, però, servono i voti oltre le fustigate e allora, come cinque anni fa, quando ha battuto lo sfidante Stefano Caldoro per una manciata di preferenze, De Luca imbarca tutti per ripetere il successo ancora contro Caldoro. La nave è grande, i posti non mancano. E mentre a Roma dibattevano di Enrico Berlinguer e il Pd si stracciava le vesti per l'arrivo della Lega in quella che un tempo era zona 'rossa', giù, sotto il Garigliano, il fiume che segna il confine tra Lazio e Campania, a bordo della nave di De Luca sale chiunque senza che alcuno chieda passato, trascorsi e frequentazioni. Ci sono consiglieri che escono dal consiglio regionale con la casacca di Forza Italia e sono pronti a rientrarci come deluchiani doc. Dentro il partito berlusconiano è accaduta, nei fatti, una scissione, figlia di una guerra di potere. Il leader della Lega Matteo Salvini ha sbarrato la strada alla candidatura di Armando Cesaro a causa di un processo a suo carico. Cesaro è figlio del senatore azzurro, Luigi, che ha attraversato inchieste giudiziarie, uscendone sempre indenne, anche se sono stati riscontrati negli anni, in rapporti e informative investigative, i suoi contatti con esponenti della malavita. Armando Cesaro viene così escluso dalle liste del centro-destra, una esclusione che ha un effetto immediato: la transumanza. A bordo della nave deluchiana, arenatasi la flotta azzurra, salgono i berlusconiani, a partire da Flora Beneduce. Beneduce è stata, nella consiliatura che si chiude, consigliera regionale di Forza Italia, ora sarà nella lista Campania libera per sostenere un altro quinquennio del presidente uscente che appella come «l’albero della vita». Praticamente il centrodestra esclude Cesaro e il centrosinistra accoglie l’ex forzista Flora Beneduce che con Cesaro condivide amicizia, vecchia militanza politica, ma anche un processo penale. Beneduce, infatti, è imputata insieme all’escluso Cesaro. L’indagine della Procura di Napoli per corruzione elettorale contesta di aver ottenuto voti in cambio di promesse e favori durante le regionali del 2015 che sancirono l’elezione sia del giovane Cesaro che di Beneduce. Entrambi si dicono totalmente estranei alle contestazioni e sicuri di dimostrare la loro innocenza. Il nome di Beneduce compare anche in un’altra indagine a carico proprio di Luigi Cesaro e dei fratelli. In questo filone, Beneduce non è indagata, ma viene citata per un incontro avuto in un mobilificio alla presenza di alcuni esponenti della criminalità locale, tra questi Luigi Puca, figlio del boss Pasquale Puca. «L’incontro era con il presidente del consiglio comunale di Sant’Antimo, mi trovo poi a parlare con un’anziana persona della sua patologia – ha spiegato Beneduce ai cronisti – e poi vengo a sapere dai giornali che forse era indagato. Ma che ne posso mai sapere io? Era un incontro ufficiale mica segreto in un garage».

Dal centrodestra ne arrivano in tanti, tra questi spicca il nome di Carmine Mocerino, che dai banchi dell’opposizione, ha continuamente attaccato De Luca citando, in un intervento in consiglio, Pinocchio, il protagonista del famoso romanzo di Carlo Collodi: «Non ti fidare di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. O sono matti o sono imbroglioni. In quest'aula non ci sono né matti né imbroglioni quindi mettiamoci tutti al lavoro» prima di accusare De Luca di aver tradito la fiducia degli elettori. Mocerino è un altro centrista che cambia bandiera. Cinque anni fa Vincenzo De Luca ha vinto grazie proprio all’appoggio, all’ultimo minuto, di Ciriaco De Mita, un appoggio rinnovato anche questa volta così come il sostegno dei Mastella. A saldare il patto l’arrivo di altri centristi di peso. Nella lista Liberaldemocratici e moderati ci sarà Giuseppe, detto ‘Peppe’, Sommese, figlio di Pasquale. Pasquale Sommese, dal 2010 al 2015, è stato uno dei più influenti assessori nella giunta di centro-destra, si è candidato con Caldoro anche nel 2015, raccogliendo 20mila voti. E’ finito ai domiciliari nel 2017, in una indagine che ipotizzava una cricca che truccava appalti pubblici, e oggi è sotto processo. La famiglia ora è tutta per De Luca.

Le truppe renziane e i fedelissimi

L’annessione di Forza Italia con il centro-sinistra passa anche dal partito di Matteo Renzi. I renziani compongono una delle quindici liste a sostegno di De Luca. E’ candidato tra i renziani, ad esempio, Pietro Smarrazzo. E’ stato responsabile dei club ‘forza Silvio’ della Campania, berlusconiano doc e vicinissimo ad Armando Cesaro, la sua ombra. Proprio Cesaro non si è opposto al passaggio in (Forza) Italia viva del suo pupillo così come di tanti altri amici di lungo corso.

 Tra i candidati renziani c’è anche Ernesto Sica, ex sindaco di Pontecagnano Faiano, comune in provincia di Salerno. Sica è finito nelle carte dell’inchiesta sulla P3 perché aveva contribuito alla diffusione di false notizie contro Stefano Caldoro. Ernesto Sica è stato un berlusconiano doc, frequentava le feste dell’ex cavaliere, ma poi ha abbandonato il carro perdente ed è diventato leghista con tanto di selfie di rito in compagnia di Matteo Salvini in occasione del compleanno dell’ex ministro. Sica è stato processato e condannato in primo grado per diffamazione, proprio per il dossier falso che aveva l’obiettivo di infangare l’onore di Caldoro. Materiale sudicio che parlava di incontri omosessuali, mai avvenuti, per demolire il candidato prescelto e rimettere in corsa Nicola Cosentino, raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare per camorra. La vicenda è emersa, nel 2010, quando Caldoro era appena diventato presidente della regione e, su indicazione dei vertici del partito e a malincuore, aveva nominato Sica assessore. A sparare contro Sica, per quanto emergeva sul suo conto, c’era l’allora leader dell’opposizione in consiglio regionale Vincenzo De Luca: «Una vicenda indegna di un paese civile». Il tempo passa e il lanciafiamme si scarica. Caldoro, due anni fa, ha perdonato il suo ex assessore accettandone le scuse e De Luca  ha accolto a braccia aperte il protagonista di quella indegna storia.

Nella lista ‘De Luca presidente’ c’è un altro uomo di peso, si tratta dell’avvocato Giovanni Zannini. Di recente è stato timidamente bacchettato da qualche esponente del Pd nazionale perché si era lasciato andare a dichiarazioni pesanti. Zannini ha il suo feudo politico a Mondragone. A fine giugno, nella cittadina casertana, c’è stato un focolaio di Covid, è esplosa, così, la protesta di una minoranza della popolazione contro la comunità bulgara che vive nei palazzoni abbandonati ex Cirio. A Mondragone è arrivato anche Matteo Salvini. A presidiare il territorio c’era proprio Zannini che prima ha bollato Salvini come ‘cazzaro’ e poi ha fatto il Salvini: «Da stamattina riprendono le attività di prelievo del sangue a chi sta nei palazzi Cirio. Ieri questi stranieri non volevano farsi il prelievo del sangue, pensavano che poi sarebbe stato venduto. C'è un'ignoranza totale, sono zingari, non è facile farsi capire». Se qualche elettore di destra è in cerca di idee e parole da nostalgici può tranquillamente trovare nelle liste di De Luca ogni genere di candidato. C’è l’ex di Fratelli di Italia che cita i personaggi di Gomorra oppure Domenico Manganiello, fino a due anni fa coordinatore della Lega a Nola, nel napoletano, e oggi in corsa con De Luca. Manganiello, su facebook, parla dei partigiani come di assassini.

La probabile vittoria del presidente uscente è assicurata certo dalle molteplici liste, ma anche dai suoi fedelissimi. A costruire la macchina del consenso, gli accordi politici è stato Nello Mastursi, l’uomo ombra, il braccio destro. Mastursi, nel 2015, è diventato capo della segreteria politica di De Luca ed era anche responsabile organizzativo del Partito democratico campano. Si è dimesso da entrambi gli incarichi quando, nel novembre 2015, viene indagato in una inchiesta della Procura di Napoli, poi trasferita a Roma per competenza. Nel 2017 Mastursi è stato condannato, in primo grado, ad un anno e sei mesi per induzione indebita e ha fatto appello. La vicenda è quella relativa alle presunte pressioni maturate prima della decisione dei giudici civili in merito alla sospensione, in base alla legge Severino, di De Luca. Il colonnello è irrinunciabile nonostante la bufera giudiziaria. A proposito di fedelissimi non può mancare tra i candidati Luca Cascone. Il consigliere regionale uscente ha avuto un ruolo attivo durante l’emergenza Covid. E’ indagato, insieme a funzionari pubblici e a Corrado Cuccurullo, presidente della Soresa, la centrale per gli acquisti sanitari in Campania, per frode e turbativa d’asta, ma è certo di dimostrare la correttezza della sua condotta.

La reazione silenziosa del Pd

Dal Pd nazionale il silenzio sul tema è l’unica risposta. Quando è arrivato, a Salerno, il segretario democratico, Nicola Zingaretti, non è intervenuto sull’argomento liste, ma ha trovato il tempo di elogiare De Luca: «E’ stato un grande, ha salvato la Campania nella più difficile delle condizioni che la democrazia ha vissuto dalla fine della seconda guerra mondiale». Nel Pd regionale hanno un ruolo di primo piano ex magistrati che hanno speso una vita contro i clan processando i rapporti tra politica e criminalità.

«La questione morale, che Enrico Berlinguer ha posto come centrale negli anni ottanta, non è più un tema politico», dice, con amarezza, Franco Roberti, che è stato capo della direzione nazionale antimafia, e, oggi, è parlamentare europeo del Pd. L’ex pubblico ministero, per un anno, è stato anche assessore alla sicurezza nella giunta De Luca. «Non ho seguito la scelta dei candidati, ma quello che posso dire è che stata fatta un’operazione per prendere quanti più voti possibile. Il discorso degli impresentabili torna in ogni elezione, in entrambi gli schieramenti. E’ grave. Questo il centrosinistra deve scegliere da che parte stare». Dai tempi dei processi contro clan e politica degli anni novanta, Roberti parla di «un peggioramento e decadimento, generale, della qualità dei candidati e degli eletti. Un quadro sconfortante». Sconfortante o no De Luca, con le sue quindici liste e il lanciafiamme in pugno, è pronto al nuovo trionfo nel silenzio dei vertici romani.

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