Il conto svizzero da 5 milioni di euro di Attilio Fontana, ereditato dalla madre e scudato nel 2015, non è l’unico mistero finanziario del governatore finito sotto la lente dei detective. E il presidente della regione Lombardia non è nemmeno il solo componente della sua famiglia finito nelle maglie dell’antiriciclaggio. Dopo la sua iscrizione nel registro degli indagati per una presunta frode in pubbliche forniture, gli investigatori della procura di Milano e l’autorità di informazione finanziaria di Bankitalia hanno acceso un faro su altre operazioni riferibili alla moglie Roberta Dini, al cognato Andrea e alla signora Marzia Martinego Cesaresco, madre dei Dini e suocera di Fontana.

Gli inquirenti hanno cominciato ad indagare sui movimenti di vari conti correnti detenuti sia in Italia che all’estero proprio perché «riconducibili a soggetti collegati a persona politicamente esposta (il presidente della regione Lombardia) recentemente indagata per concorso in turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e frode in pubbliche forniture». I documenti insieme ad altre segnalazioni di istituti bancari sui parenti del governatore sono stati mandati ai magistrati inquirenti che stanno indagando sui rapporti tra la Dama, azienda dei Dini, il presidente e la centrale acquisti della regione Lombardia, che aveva firmato un contratto con la ditta di maglieria da oltre mezzo milione per l’acquisto di camici e materiale anti Covid.

Illustrazione di Valentina Vinci: da Varese e Milano fino alle Antille passando dalla Svizzere, i misteri finanziari di Fontana & Co.

Al netto della rilevanza penale, tutta ancora da dimostrare, i documenti svelano che oltre al governatore, titolare di un conto in Svizzera con circa 5 milioni di euro fatti rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale, anche la sua consorte possiede conti correnti nel paese elvetico, oltre a società immobiliari oggi in liquidazione che hanno accumulato negli anni debiti fino a 20 milioni. Inoltre le carte raccontano che nel 2015 anche i due suoceri di Fontana hanno usato la voluntary disclosure per far rientrare capitali nascosti in Estonia, Svizzera e a Curaçao, nelle Antille olandesi «in violazione degli obblighi di dichiarazione dei redditi e di monitoraggio fiscale». Milioni di euro legati proprio alle attività della Dama, la società del caso camici e oggi controllata dalla seconda generazione, dopo la morte del capostipite Paolo Dini.

Il presidente indagato

Per comprendere i motivi dell’interesse investigativo di queste movimentazioni finanziarie bisogna partire dal principio. Fontana è indagato dallo scorso luglio (in concorso con il cognato) per la strana vicenda della vendita da parte della Dama di 75mila camici e altre attrezzature anti Covid alla regione Lombardia. La società è specializzata in maglieria, e controlla il noto marchio Paul&Shark. L’affare vale 513mila euro che, forse per evitare uno scandalo, si sono trasformati in una donazione. Fontana, infatti, saltata l’operazione e prima che la vicenda divenisse pubblica, a maggio scorso aveva disposto un bonifico da 250mila euro alla stessa Dama spa. Un pagamento che avrebbe voluto fare dal suo conto personale svizzero, gestito da una fiduciaria. Il bonifico però è stato bloccato e segnalato dall’antiriciclaggio.

Il documento con cui Unione Fiduciaria segnala il tentato bonifico di Attilio Fontana alla società del cognato per pagare i camici offerti alla regione

Se il governatore ha spiegato di aver voluto anche lui fare beneficenza insieme al cognato, i maligni temono invece che la mossa sia stata un modo maldestro per rifondere l’azienda dei parenti dal mancato guadagno.

Si vedrà che risposte daranno le indagini. Tuttavia è certo che seguendo all’inverso il percorso del bonifico del leghista, la Uif arriva prima all’Unione fiduciaria, società mandataria di cui il governatore è cliente, poi a un conto in Svizzera in una filiale dell’Ubs, rapporto su cui cinque anni fa il fedelissimo di Matteo Salvini scudò, attraverso una regolare voluntary disclosure, oltre 5,3 milioni di euro.

Un tesoro di cui l’opinione pubblica lombarda non sapeva nulla. «Un’eredità di mia mamma», disse Fontana. «Evasione fiscale? Ma figuriamoci, lei era superfifona». La dentista Maria Giovanna Brunella aveva trasferito a partire dal 1997 i soldi all’estero, prima in Svizzera poi alle Bahamas. Sul deposito milionario peraltro il figlio leghista era l’unico delegato ad operare: cioè poteva disporre e ordinare operazioni. «Un’iniziativa dei genitori in cui Fontana non ha avuto alcun ruolo», è la difesa dell’entourage del presidente. All’epoca dell’apertura del primo conto Fontana aveva iniziato la sua carriera politica da sindaco di Induno Olona e la madre di Fontana aveva 74 anni. Sull’origine di quella provvista l’inchiesta in corso sta cercando di decifrare il mistero.

La prova che Attilio Fontana aveva la delega a compiere operazioni sul conto corrente estero della madre, all'epoca 74enne

Tra Tallinn e le Antille

Alle indagini finanziarie su Fontana, si aggiungono ora quelle sulla famiglia della moglie. In primis, dalle relazioni dell’Agenzia delle entrate si scopre che anche i suoceri di Fontana (Paolo Dini, il patron della Dama deceduto due anni fa, e la moglie Marzia Cesaresco), detenevano milioni di euro su conti esteri. Capitali «sorti in relazione ad attività d’impresa», si legge nelle note di accompagnamento alla domanda di condono, «svolte in Italia dalla Dama spa, società operante nel settore degli articoli di maglieria», oggi guidata dai figli. «L’istante Paolo Dini ha detenuto attività finanziarie all’estero in violazione degli obblighi di dichiarazione dei redditi e di monitoraggio fiscale», si evidenzia. Tradotto: l’allora amministratore dell’azienda tanto cara a Fontana ha redatto infedeli dichiarazioni e nascosto all’estero più di sei milioni di euro. Evadendo tra Iva e Irpef centinaia di migliaia di euro di tasse.

Le relazioni mandate dai suoceri di Dini agli uffici dell’erario sono dettagliate, e permettono di ricostruire la galassia estera delle attività del capostipite e dell’azienda da cui la regione Lombardia voleva acquistare i camici sanitari. Il primo rapporto finanziario segnato nelle carte è un conto all’Ubs di Lugano, controllato tramite una società (la Uranus Corporation) con sede a Curaçao nelle Antille olandesi. Conto su cui aveva diritto di firma anche la Veco Trust Sa, di cui Dini ammette di essere «unico beneficiario economico».

C’è poi un secondo conto, sempre nella stessa filiale, cointestato con la moglie. Su cui arrivano negli anni bonifici a cinque zeri, tra cui 200mila euro «derivante dalla compravendita di un immobile avvenuta nel 2013», oltre a denaro dalla Dama spa, di altre società estere. Circa 668 mila euro «si riferiscono» invece «alla restituzione di un debito da parte del figlio dell’istante Andrea Dini», le cui attività finanziarie e patrimoniali sono tra l’altro «oggetto» si legge «della relativa procedura».

Un terzo conto era all’Ubs di Chiasso. Due i cointestatari: Paolo Dini e Davide Bizzi, classe 1962, definito nel documento «ex socio» del patron della Dama. Ma chi è Bizzi? Si tratta del celebre immobiliarista che recentemente ha investito (per poi vendere le quote dell’affare) nello sviluppo dell’area ex Acciaierie Falck di Sesto San Giovanni e che recentemente ha messo 20 milioni di euro nella ristrutturazione del porto di Rapallo, danneggiato dalle mareggiate.

Bizzi ha anche una passione per la carta stampata (qualcuno sussurra da tempo che voglia mettere le mani sul Foglio) e quest’estate attraverso una cordata si era perfino proposto in Vaticano per comprare il celebre palazzo di Londra al centro dello scandalo che ha travolto la Santa sede. Un affare che era poi era saltato per la contrarietà del segretario di Stato, Pietro Parolin. A milano gli addetti ai lavori sanno da sempre che Dini e Bizzi sono stati soci in affari per molti anni: attraverso la loro Bi&Di Real Estate il duo aveva investito nel mattone proprio a Sesto San Giovanni, ma anche a Cuba, in Brasile, New York ed Estonia.

Ecco: proprio nel paese baltico Dini teneva la partecipazione azionaria più rilevante tra quelle indicate nella relazione della voluntary disclosure. Quella cioè della Diest Est, società le cui quote sono valutate 6,2 milioni di euro. Soldi che erano stati trasferiti a Tallinn nel 2009, quando l’industriale dei maglioni aveva usato una società fiduciaria, la Melior Trust, per comprare le azioni della stessa Diest.

I conti svizzeri della moglie

Quando due anni fa Paolo è deceduto, ogni suo bene è stato ereditato dai figli e dalla moglie. La Dama oggi è controllata per il 90 per cento dal figlio Andrea, per il 10 per cento dalla moglie di Fontana. La Uif ha analizzato, anche su richiesta degli inquirenti, i conti di Roberta Dini, della Dama e della madre proprio quando l’azienda è finita nell’inchiesta dei camici. L’obiettivo è capire e evidenziare eventuali connessioni finanziarie tra i soggetti protagonisti della vicenda.

Attilio Fontana con la moglie Roberta Dini (Getty)

La relazione dell’antiriciclaggio segnala un primo bonifico del dicembre 2019, tre mesi prima dell’inizio della pandemia, quando la moglie di Fontana incassa su un conto italiano di Unicredit 600mila euro dalla Kairos Partners di Milano. Una società di gestione del risparmio controllata da un gruppo svizzero di proprietà di Julius Baer, celebre anche perché fondata dal finanziere Guido Maria Brera, l’autore del romanzo I Diavoli diventato una serie tv sul lato oscuro della finanza.

La metà dei soldi incassati, 300mila euro, vengono girati due settimane dopo a una azienda registrata con il nome 30 Giugno, con causale «delegazione di pagamento per acquisto immobile».

Di chi è la 30 Giugno? Secondo i dati della Camera di commercio, si tratta di una società controllata sempre dalla moglie di Fontana, e amministrata da lei a partire dal 3 febbraio del 2020 (prima il ruolo era in mano al padre Paolo, deceduto nel 2019). Gli investigatori di Bankitalia segnalano che la 30 Giugno è specializzata nella compravendita immobiliare, ma pure che è in «liquidazione volontaria dal 2013». In effetti altri documenti evidenziano che nel 2016, dopo la bocciatura di una prima domanda di concordato preventivo, Roberta Dini ha ottenuto dal tribunale competente l’autorizzazione a un accordo per la ristrutturazione dei debiti. Debiti che nel 2018 erano arrivati a superare la bellezza di 20 milioni di euro, ridotti sensibilmente nei due anni successivi attraverso la cessione di gran parte degli immobili e di cespiti della società ai vari creditori.

Sullo stesso conto corrente, poi, lo scorso luglio la consorte del presidente ha effettuato un giroconto da 354mila euro partiti da da un conto Unicredit denominato in franchi svizzeri: la provvista, segnala l’antiriciclaggio, è stata poi usata per acquistare titoli. Investimenti e disinvestimenti – fino a prova contraria del tutto leciti - che Dini «esegue spesso a stretto giro con operazioni di segno opposto».

I sospetti e i relativi alert segnalati dai detective che stanno setacciando i conti – le relazioni sono state inviate in procura a Milano con con l’analisi di tutti i movimenti sospetti - si accendono non solo perché Roberta Dini è la moglie di Fontana, quindi «soggetto collegato al presidente della Regione», ma pure perché queste operazioni si discosterebbero, «per importo, dalla pregressa movimentazione del rapporto, circostanza che trova conferma dall’analisi dell’estratto conto acquisito in sede di approfondimento». La routine del conto, infatti, prevedeva entrate e uscite che «vanno da poche decine a qualche migliaio di euro, per lo più ascrivibili al pagamento di utenze, utilizzi di carta di credito, prelievi da Atm, accrediti di dividenti e compensi manageriali, disposizioni e assegni da e verso soggetti terzi». Per la cronaca, Dini aveva ottenuto dalla Kairos Partners un altro bonifico da 200mila euro qualche mese prima, a maggio del 2019. Quasi la metà della somma è servita, tre giorni dopo, a pagare per una consulenza Mario Michele Nascimbene, che – non si trattasse di omonimia – risulta essere il titolare della Nascimbene&Partners, studio legale “boutique” sotto la Madonnina.

Ci sono altre tre operazioni che hanno alimentato sospetti tra chi indaga. In primis alcuni movimenti da centinaia di migliaia di euro tra il conto di Roberta Dini e quello di un’altra società da lei controllata, la Immobiliare Borgodimilano. Quest’ultima ha in pancia, secondo i dati catastali, quasi un intero palazzo (negozi compresi) della centralissima via Borgospesso, nel pieno quadrilatero della moda milanese, e un grande ufficio-appartamento a piazza San Babila. Nel medesimo dossier gli investigatori segnalano pure un movimento da sei milioni di euro che a ottobre 2019 partono da un conto svizzero con la causale “girofondi” per essere accreditati su un conto italiano intestato alla Dama spa. Altri 5,6 milioni arrivano, sempre dalla Svizzera (stavolta la causale è “chiusura relazione”), direttamente alla Diva spa, la holding del gruppo di famiglia in mano al fratello della moglie di Fontana, Andrea Dini, che controlla – attraverso un trustee, l’Unione Fiduciaria spa di Milano – il restante 90 per cento della Dama. Anche Fontana usa la stessa fiduciaria per gestire i milioni ereditati dalla madre. Alla stessa fiduciaria si era rivolto il presidente per far partire il bonifico da 250mila euro destinato all’azienda dei Dini, Roberta e Andrea. Un’azienda di famiglia.

Polizza milionaria

Le notizie dell’avvio delle indagini della procura di Milano rimbalzate su tutti i giornali hanno allarmato anche altre banche in cui la famiglia del governatore ha conti e investimenti. Così qualche tempo fa, dopo l’iscrizione nel registro degli indagati del governatore in seguito alla faccenda dei 75mila camici ordinati dalla regione dalla Dama, Credit Suisse Life & Pension Ag, sede legale a Milano, ha scritto all’autorità antiriciclaggio segnalando un’altra operazione sospetta. In questo caso la protagonista è la suocera di Fontana, un tempo anche lei titolare di quote e cariche nella holding Diva e nella Borgodimilano.

Secondo la segnalazione, nel 2020, l’anziana suocera di Fontana – che come altri membri di famiglia vanta un rapporto con la solita Unione fiduciaria spa – ha sottoscritto una polizza assicurativa da un milione di euro. Unica beneficiaria: la figlia Roberta nonché moglie del presidente. I soldi per la provvista provengono ancora una volta da un conto corrente svizzero. «La polizza diventava efficace in data 27 luglio 2020», si legge nel rapporto dell’istituto elvetico. «La scrivente», cioè Credit Suisse Life & Pension «non è in grado di escludere eventuali collegamenti tra la fattispecie penalmente rilevante oggetto dell’indagine (su Fontana, ndr) e la movimentazione posta in essere».

2014 Getty Images

In realtà il primo modulo di proposta della polizza milionaria è stato firmato molto prima della pandemia e dell’affare delle mascherine, ed è dunque assai probabile che con i fatti analizzati dai magistrati della procura meneghina non ci siano connessioni dirette. «Nel gennaio 2020 la presente società (Credit Suisse L&P, ndr) ha avuto contatti con la signora Cesaresco per la sottoscrizione di una polizza assicurativa» aggiunge infatti la società: «In data 9 gennaio Cesaresco, titolare di un rapporto con la Unione fiduciaria spa, sottoscriveva insieme a quest’ultima il modulo di proposta, designando unica beneficiaria la figlia Roberta Dini. La signora Cesaresco incaricava poi la fiduciaria di prelevare per suo conto dal conto corrente (svizzero, ndr) di Credit Suisse Ag l’importo di un milione di euro e bonificarlo sul conto (italiano, ndr) intestato alla Life & Pension con transito sul conto omnibus della fiduciaria al fine di effettuare il pagamento del premio di polizza. Il denaro perveniva alla scrivente compagnia con data 17 luglio 2020. Nelle medesime settimane venivano rese note dalla stampa notizie pregiudizievoli nei confronti di Attilio Fontana, marito della beneficiaria».

I sospetti sono tutti da accertare. Ma, al di là della polizza, è possibile che Fontana non sapesse che conti e capitali di parenti e dell’azienda a cui ha versato 250 mila euro (e con cui la regione Lombardia ha tentato di acquistare camici senza bandire alcuna gara) fossero stati nascosti per anni all’estero? Abbiamo chiesto un commento via mail al governatore in merito alle notizie sopra riportate. Ci ha risposto il suo avvocato Jacopo Pensa. «Mi chiedo a quale titolo e con quale finalità rivolgiate al presidente Fontana domande su circostanze prive di qualsiasi interesse pubblico, attinenti esclusivamente alla sfera professionale e patrimoniale di sua moglie e della di lei famiglia. Senza chiedervi nemmeno se la moglie o i suoi congiunti avessero intenzione di mantenere riserbo su tali operazioni, che voi assumete essere avvenute, anche nei confronti dello stesso Fontana. In realtà siete voi che avete dato imprudentemente notizie al presidente, riservatissime e prive del benché minimo interesse pubblico». L’interesse pubblico in questo caso appare rilevante, visto che a indagare è sia l’antiriciclaggio sia la procura di Milano. Fontana ha un ruolo pubblico, e aveva peraltro già omesso di dire ai cittadini lombardi che aveva avuto in passato a che fare con scudi fiscali e conti all’estero. L’attenzione mediatica e investigativa verso la Dama e i suoi proprietari, infine, si accende a causa delle operazioni dello stesso Fontana: senza quel “regalo” da 250mila euro alla spa di famiglia, forse la vicenda dei camici e dei bonifici dalla Svizzera non sarebbe mai diventata di dominio pubblico.

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