Martedì sera Stefano Buffagni, due volte ex sottosegretario, era furioso. Il motivo era la conferma della voce in circolazione da tutto il pomeriggio sulla sua esclusione dal sottogoverno. In serata la conferma: Buffagni è fuori.

Per il commercialista milanese un brutto colpo che aveva cercato di evitare in ogni modo, tentando di riscuotere tutti i favori accumulati in passato, che però non si sono rivelati poi tantissimi.

«Negli ultimi tempi si è giocato parecchie amicizie nel governo», dice un deputato pentastellato. Il sottosegretario agli Affari regionali del Conte I e viceministro dello Sviluppo economico del Conte II aveva voluto dare un’accelerazione alla propria carriera soprattutto nell’ultimo periodo: spesso in contrasto con la linea ufficiale del governo, Buffagni da un lato cercava il favore del gruppo parlamentare, in aperta polemica con la compagine di governo, dall’altra si poneva in contrapposizione con il mite Stefano Patuanelli. Chi lo conosce bene racconta screzi anche pesanti con il ministro triestino su quasi tutti i dossier di peso, primi fra tutti Alitalia e Rete unica. Il tentativo, continua la fonte pentastellata, era quello di trasformare in realtà le mire che Buffagni aveva sull’ingresso nel Consiglio dei ministri.

Il passato

Oltre ad alienarsi le simpatie del suo capo Patuanelli, il “milanese imbruttito”, come lo chiamano nel partito, non ha mai avuto rapporti eccellenti neanche col resto dei vertici. Cresciuto politicamente nel gruppo milanese di Davide Casaleggio, non c’è mai stata grande sintonia con Luigi Di Maio, che in questo giro di nomine si è speso per i suoi fedelissimi Laura Castelli, Manlio Di Stefano e Carlo Sibilia. Ma i rapporti sono ancora più compromessi con Vito Crimi, con cui Buffagni condivide la regione in cui è stato eletto, la Lombardia. Tra i due oltre che per ragioni caratteriali non corre buon sangue per una questione vecchia di tre anni: durante la stesura dei listini elettorali a Buffagni, che pure era consigliere regionale uscente e comunque uno dei volti più in vista del Movimento in regione, fu preferita per il primo posto Paola Carinelli, deputata uscente e compagna di Crimi, che neanche risiedeva nel collegio in questione, a differenza di Buffagni. Ad avere l’ultima parola sul complicato meccanismo che aveva originato questa stortura era stato il Comitato di garanzia, in cui sedeva e continua a sedere proprio Crimi.

L’altra questione che non giocava a favore di Buffagni era la volontà del direttivo M5s di assegnare i pochi posti disponibili (ridotti dopo l’addio di decine di parlamentari) ai rappresentanti del sud, da sempre bacino elettorale del Movimento, e alle donne, come richiesto dal presidente del Consiglio. Buffagni ha tra i suoi cavalli di battaglia proprio il tema del nord, ostico per i vertici, soprattutto in questo periodo.

Per il momento l’ex viceministro ribadisce la sua appartenenza al Movimento e il suo sostegno a Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Tra le fila dei parlamentari però c’è chi vede nel suo futuro un ruolo da battitore libero un’attesa del rinnovamento della governance del M5s.

Quando si dovesse concretizzare, Buffagni arriverebbe in una posizione neutrale e senza bisogno di mantenere buoni rapporti coi ministri del governo tecnico-politico, quindi pronto a presentarsi senza macchia quando i tempi dovessero cambiare.

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