Sbilanciato a sinistra, come va continuamente ripetendo Giorgia Meloni? Troppo spostato a destra, come sostiene Nicola Fratoianni? Sostanzialmente centrista, come sospettano alcuni? Trasversale, vista la presenza di quasi tutte le forze dell’arco parlamentare al suo interno?

Indecifrabile nei suoi veri connotati politici, destinati a rivelarsi progressivamente attraverso le sue scelte concrete, come pensano in molti? L’esecutivo guidato da Mario Draghi sembra aver rilanciato alcuni interrogativi che sembravano scomparsi dalla scena: destra e sinistra esistono ancora o sono state travolte da un’ondata post-ideologica di cui l’ascesa del Movimento 5 stelle era apparsa come un’evidente manifestazione e che ha acquistato nell’emergenza sanitaria la forza di uno tsunami? E, qualora ci siano ancora ragioni per credere nella loro esistenza, quali connotati hanno e che funzioni svolgono nell’agone politico e negli orientamenti pratici degli individui? Disegnano ancora il perimetro di un conflitto tra modelli di società, visioni del mondo, modi di vita?

Destra e sinistra

Il libro di uno dei più noti filosofi della politica contemporanei, il francese Marcel Gauchet, Destra sinistra. Storia di una dicotomia, riproposto di recente dalle edizioni Diana, apporta una notevole quantità di risposte a quesiti come quelli citati e si pone come un utile strumento di decifrazione di uno degli apparenti paradossi del nostro tempo: la persistenza di forme di aspra conflittualità politica – si pensi all’America sempre più divisa, al nodo dell’indipendentista catalano o alla rivolta dei gilets jaunes (i gilet gialli) – in un tempo in cui la distanza ideologica tra i programmi dei partiti tradizionali si è ridotta ai minimi termini.

Al momento della prima edizione italiana, il saggio passò quasi inosservato. Era il maggio 1994 e solo tre mesi prima Norberto Bobbio, con il volumetto Destra e sinistra pubblicato da Donzelli e destinato a un clamoroso successo di vendite e a un gran numero di traduzioni all’estero, aveva monopolizzato la discussione sul tema.

Alla vigilia di uno scontro elettorale che pareva assumere il significato di una svolta epocale, le pagine dello studioso piemontese avevano rincuorato i futuri votanti della coalizione progressista, smarriti di fronte alla repentina liquefazione del sistema di partito con cui erano abituati a convivere e alla comparsa di un nemico che risvegliava antichi fantasmi, confortandoli nella convinzione di stare dalla parte del bene – l’eguaglianza, eletta a “stella polare” della sinistra e dichiarata “valore universale” – e di possedere ancora un’identità non insidiabile da contaminazioni.

Nel profluvio di citazioni, recensioni, presentazioni, convegni e dibattiti ispirati al magistero bobbiano, non c’era spazio per un testo che poneva la questione in una prospettiva molto diversa, aliena da connotazioni polemiche e quindi non utilizzabile come arma di lotta partigiana, e per giunta poggiante su un’analisi del percorso storico-concettuale delle due etichette nel contesto che ne aveva visto la nascita, quello francese.

Eppure già allora ci sarebbero stati validi motivi per riflettere su quello scritto in cui, con un’analisi ben documentata e di notevole forza argomentativa, si dimostrava che sinistra e destra, lungi dal rappresentare la proiezione di due essenze metafisiche irriducibilmente contrapposte, come Bobbio pensava, si limitano a incarnare, in modi adattati alle mutevoli contingenze, la tendenza della mente umana a ridurre a semplificare la realtà, riducendo a contrapposizioni binarie la varietà di opinioni e scelte che si profilano di fronte a questioni che a un individuo appaiono rilevanti.

La coppia oppositiva

In altre parole, Gauchet offriva una definizione, e una visione, puramente convenzionale della diade, che corrispondeva molto più fondatamente all’uso che se ne fa concretamente, in ciò raggiungendo la convinzione di Giovanni Sartori che destra e sinistra siano, in sé, «contenitori vuoti aperti a tutti i travasi, a tutti i contenuti», che caso per caso si associano a particolari significati onde servire da bussola a elettori confusi dalla complessità della politica di massa. Anche se, aggiungeva il politologo fiorentino, dall’inizio degli anni Novanta, «quella bussola è impazzita», tutti i criteri di identificazione che ne avevano consigliato l’uso «sono andati in frantumi» e, di conseguenza, si poneva il problema di capire «quale sarà il nuovo vino delle vecchie botti».

Chi si accosterà solo ora alle pagine di Gauchet non si limiterà tuttavia a riscontrare la persistente attualità di un testo elaborato quasi trent’anni or sono, ma troverà altri notevoli spunti nella lunga postfazione che l’autore ha voluto scrivere per l’occasione. E la cui conclusione è che, anche se è stato complicato e ridimensionato da altre linee di frattura, la cui crescente rilevanza è attesta dai successi conseguiti dai movimenti ecologisti e populisti, e di conseguenza è stato offuscato e si è complicato, lo spartiacque destra/sinistra continua a possedere una sua operatività: «conserva il suo significato, per quanto vago, nella mente dei cittadini e nell’organizzazione del campo politico» e consente, quindi, una migliore articolazione di quel pluralismo politico che costituisce l’ossatura dei sistemi democratici.

Il successo della coppia oppositiva non cancella però, ammette Gauchet, le frustrazioni di chi è costretto a constatarne le smagliature e le continue trasformazioni. Semplificando la realtà, la diade mostra la sua arbitrarietà e artificiosità, perché «è un dato di fatto che non possono esistere una destra o una sinistra “pure”, anche ammettendo che una simile idea possa avere un senso» e che entrambe le aree «mescolano per forza di cose componenti ideologiche disparate».

Constatando l’evidenza di questo dato, sono sempre più numerosi i cittadini-elettori che si emancipano dalle appartenenze incondizionate a uno dei partiti che avevano caratterizzato le lotte politiche in passato e orientano le proprie scelte di voto a circostanze, situazioni e richiami personali.

Attraversare i confini

Queste e altre osservazioni si prestano a una riflessione che potrebbe andare oltre la diagnosi di Gauchet e, almeno in parte, contraddire la sua fiducia nella capacità di resistenza di quello che chiama «il sistema dualista» alle sfide dell’evoluzione della società. Perché è sempre più difficile, per molti, collegare la “bussola” sartoriana a punti cardinali identificabili.

Certo, se ci si tiene sul piano della speculazione filosofica, ci si può sbizzarrire nel costruire modelli ideali in cui la reciproca inconciliabilità diventa plausibile. Si può allora contrapporre la tradizione alla modernità, la conservazione al progresso, l’eguaglianza alla differenza, l’élite al popolo, la sacralità alla mondanità, la trascendenza all’immanenza e via elencando. Il problema è che questi archetipi non reggono al contatto con una realtà dove subiscono continue torsioni. Il populismo ha ampiamente dimostrato l’obsolescenza dei vecchi spartiacque, tanto che i movimenti che vi si sono ispirati hanno attirato settori dell’opinione pubblica e dell’elettorato che in precedenza avevano dimostrato affinità sia per partiti di destra che per partiti di sinistra. E anche l’ecologismo sta dando un forte contributo al rimescolamento delle carte.

Gauchet crede che i più continueranno a servirsi di sinistra e destra per dare una giustificazione alle scelte suggerite dalla ragione o dagli impulsi. Se sarà così, si potrà tracciare un’analogia con il ruolo che nelle società contemporanee esercitano le fedi religiose. Sono ancora molti coloro che dichiarano di credere all’una o all’altra di esse, anche se spesso nei comportamenti che assumono ne trasgrediscono i precetti, confidando nella possibilità di ottenere il perdono per le mancanze commesse.

Così cresceranno, fra quanti insisteranno a dichiararsi di destra o di sinistra, gli attraversamenti del confine tra le aree nelle scelte pratiche quotidiane. E non ci sarà neanche bisogno di ottenere l’indulgenza da un’autorità chiamata a giudicare in nome della vera fede: le chiese ideologiche hanno tutte chiuso i battenti o vivono, poco frequentate, nella marginalità. Ai tribunali dell’ortodossia sono rimasti pochi imputati da interrogare. Occorre quindi rassegnarsi a una constatazione: a credere all’indispensabilità della diade sono oggi soprattutto gli intellettuali, in primo luogo quelli che si riconoscono in una delle due aree, mentre la “gente comune” ne è sempre meno convinta.

 

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