L’avvento del governo Draghi ha profondamente destabilizzato l’arco ampio del centrosinistra. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti si è dimesso, costringendo il partito a cambiare in corsa il suo leader. Il Movimento 5 Stelle è entrato in una lunga fase di riflessione interna culminata nel modo più inaspettato: la rottura tra il fondatore Beppe Grillo e il candidato in pectore Giuseppe Conte, che sembra preludere a una scissione.

Ora ci si chiede se questa doppia crisi e la conseguente sparizione del centrosinistra e della sua agenda abbia finito con lo spalancare le porte del governo al centrodestra e alla sue istanze.

Le vittorie del centrodestra

La maggioranza variegata che compone il governo Draghi rende complicato fissare precise linee di demarcazione politica nelle misure realizzate o messe in cantiere. Tuttavia, su alcuni settori è possibile segnare le vittorie del blocco di centrodestra composto da Lega e Forza Italia. Vittorie che tuttavia vanno anche nella direzione apprezzata dall’unico partito di opposizione, Fratelli d’Italia.

La più recente riguarda lo stop al cashback. La misura, approvata dal governo Conte 2 e finanziata con 5 milioni di euro, prevedeva la restituzione del 10 per cento fino a un massimo di 150 euro ogni sei mesi su tutte le transazioni effettuate con pagamento elettronico e un premio di 1500 euro per i primi 100 mila cittadini con più transazioni di pagamento registrate. Il Consiglio dei ministri ha disposto la sospensione del programma nel secondo semestre del 2021 e “le risorse che si rendono conseguentemente disponibili sono destinate a finanziare interventi di riforma in materia di ammortizzatori sociali”.

La decisione è stata fortemente criticata da Pd e Movimento 5 Stelle, mentre il centrodestra si è schierato compatto insieme a Draghi. «Il cashback è una misura regressiva che ha indirizzato le risorse verso le categorie in condizioni economiche migliori senza raggiungere l’obiettivo di colpire l’evasione fiscale e di incentivare l’uso della moneta digitale», ha commentato la presidente dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini. Sulla stessa linea si è espresso anche Giulio Centemero, deputato leghista membro della commissione Finanze, secondo cui «L'abolizione del cashback è frutto di alcune valutazioni di natura economica che ha fatto il nostro partito. Crediamo ci siano altre priorità e per questi fondi».

Misura decisamente più di impatto e accolta con favore dal centrodestra è lo sblocco dei licenziamenti. Il Consiglio dei ministri ha approvato la proroga fino al 31 ottobre del divieto di licenziamento nel settore della moda e del tessile allargato, mentre per gli altri settori il divieto è caduto il primo luglio ma con un bilanciamento: le imprese, che non possano più fruire della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, possano farlo in deroga per 13 settimane fino al 31 dicembre 2021 senza contributo addizionale e, qualora se ne avvalgano, con conseguente divieto di licenziare.

La misura è stata accolta con favore sia da Forza Italia che dalla Lega, che pure aveva avuto un atteggiamento ondivago sul tema. La decisione è stata frutto di una lunga trattativa tra le forze di governo: la prima proposta del ministro dem del Lavoro, Andrea Orlando, era infatti quella di una proroga fino alla fine di agosto.

Il vero banco di prova, però, saranno le misure in approvazione nel corso dei prossimi mesi su due temi strategici: giustizia e fisco. Sulla giustizia, il centrodestra al governo sostiene la ministra Marta Cartabia soprattutto nella parte di riforma del diritto penale che punta a riscrivere la norma sulla prescrizione, uno dei totem dei Cinque stelle. Inoltre, con il referendum promosso insieme al partito radicale, Matteo Salvini punta a polarizzare ulteriormente il dibattito in particolare sul ruolo della magistratura. «Dopo il pentimento postumo di Luigi Di Maio, aspettiamo il Movimento al varco sulla riforma», dice Giorgio Mulè, sottosegretario alla Difesa di Fi.

Sul fronte della riforma fiscale, il documento approvato dal parlamento vede la conferma della misura bandiera della Lega: l’aliquota forfettaria al 15 per cento entro i 65 mila euro di reddito, con un regime forfettario opzionale anche per piccole e medie imprese e professionisti. Dal testo, invece, sono sparite le due misure che provenivano dal centrosinistra: al riforma del catasto per aggiornare i valori degli immobili fermi dal 2012.

Del resto, con il partito di maggioranza relativa in via di sfaldamento, ora il centrodestra potrebbe essere davvero il baricentro più sicuro per il governo Draghi. «E’ folle e irresponsabile anche solo ipotizzare una crisi: questo governo deve andare avanti per risolvere i nodi di fisco e giustizia», aggiunge Mulè. «Noi siamo l’assicurazione della vita del governo, perchè siamo granitici nella nostra posizione».

Anche la Lega ha adottato la stessa posizione istituzionale e responsabile. «Non commentiamo quello che accade in casa d’altri», dice Massimiliano Romeo, capogruppo in Senato della Lega, a proposito della crisi del centrosinistra che ha contribuito ad aprire la porta alle loro istanze. Ma ribadisce: «Oggi Lega e Forza Italia rappresentano la migliore garanzia di stabilità per il governo».

Sconfitte di centrodestra

Quella attuale «è una situazione particolare», concede Giuditta Pini, deputata del Pd che siede nella commissione Affari sociali. Ma più che la debolezza dello schieramento di centrosinistra, Pini preferisce parlare del ruolo centrale del governo che tramite l’uso di decreti spesso «sovrasta i lavori parlamentari e il ruolo dei partiti».

Ma ci sono eccezioni, dice. Di recente, Pini ha contribuitoi a introdurre una modifica alla legge delega sul Family act che impegna il governo a portare il congedo obbligatorio per i padri fino a un massimo di 90 giorni. Questo caso, sostene «dimostra che quando è possibile discutere gli emendamenti come nel caso del Family Act, il fatto di essere tutti sulla stessa barca aiuta a parlare più del merito delle questioni e ad avere, in alcuni casi, degli ottimi risultati».

In molti altri casi, soprattutto quando più che il Parlamento era coinvolto il governo, le cose sono andate diversamente. Il tentativo effettuato alla fine dello scorso maggio dal ministro del Lavoro Andrea Orlando di rimandare lo sblocco dei licenziamenti è stato respinto duramente dal presidente del Consiglio Draghi sostenuto dalla Lega e dal resto del centrodestra. Prima ancora, Draghi aveva respinto con ancora più durezza la proposta abbozzata dal segretario Pd Letta di una “dote” destinata a tutti i diciottenni da finanziarie con un’imposta di successione.

Nel frattempo è sparito dall’orizzonte e soprattutto dal testo del Pnrr il salario minimo, una proposta avanzata prima dal Pd durante la segreteria di Nicola Zingaretti e poi rilanciata con forza dal Movimento 5 Stelle nelle ultime settimane.

E le idee?

La crisi interna di Pd e Movimento 5 Stelle sembrano effettivamente aver contribuito al cambio di rotta del governo nelle ultime settimane. Ma c’è anche chi non ritiene che la causa si soltanto di tattica politica: al centrosinistra “allargato” manca non solo unità e leadership, ma anche idee.

«Cos'è un centrosinistra oggi? Quale obiettivi di redistribuzione e coesione sociale persegue? Che progetto politico tiene oggi insieme Fratoianni e Calenda?», si domanda Lorenzo Zamponi, ricercatore di scienze politiche e sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa. «Non avere una risposta a queste domande significa consegnare l'Italia non solo alla destra, ma a un destino politico da Visegrad, in cui l'unica alternanza possibile è quella tra la destra reazionaria e la tecnocrazia liberista».

La strada per il Pd e Movimento 5 Stelle sembra quindi doppiamente in salita. Se vorranno recuperare influenza nel governo non solo dovranno riuscire a risolvere i loro problemi interni. Dovranno anche trovare se non un programma almeno una visione politica comune, come il centrodestra ha già fatto da anni ormai. Vaste programme.

 

© Riproduzione riservata