«Paul era una persona mite. Era quello da cui andavi quando avevi un momento di crisi, sapendo che si sarebbe messo a ragionare insieme a te. Incantava i giovani, li formava, e poi li seguiva nel loro percorso». La scrittrice Sandra Bonsanti, già direttrice del Tirreno, era tra le amiche più care di Paul Ginsborg, lo storico britannico innamorato dell’Italia morto ieri notte a Firenze dopo una lunga malattia.

Bonsanti abita a due passi da casa sua, lo ha conosciuto, racconta, tramite il marito, Giovanni Ferrara, storico a sua volta. È stato Ginsborg a chiamarla nell’associazione Libertà e giustizia, di cui era fondatore e di cui poi entrambi sono stati presidenti. «Leg», oggi presieduta da Sergio Labate che con Ginsborg ha scritto il libro “Passioni e politica”, in queste ore lo ricorda con le stesse parole, «un mite radicale».
Mite per indole, ma molto molto radicale. Infatti è stato tra i protagonisti della stagione dei girotondi, all’inizio degli anni Duemila. Fu un momento di rottura fra partiti e movimenti civici – il famoso «ceto medio riflessivo» – a tutt’oggi mai davvero ricomposta, considerata dai “partitisti” la madre di tutta l’antipolitica, come scrisse Michele Prospero nel suo «Libro nero della società civile».

Di quei girotondi Paolo Flores d’Arcais, direttore di Micromega,  e il professore Pancho Pardi, filososo urbanista ex Potere operaio, erano la prima fila, con i loro toni urlati e le loro critiche inflessibili verso il ceto politico della sinistra di quegli anni. 

Ginsborg era fra loro, certo meno capopolo e più sorridente, ma come loro per niente accomodante. Colto, autore di una Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi (Einaudi) e fra i primi studiosi del fenomeno del berlusconismo, aveva insegnato negli anni 80 a Siena e Torino, poi storia dell’Europa contemporanea a Firenze.

Non aveva incrociato per caso il movimento che portò alla oceanica manifestazione del 14 settembre 2002 Roma; e che oggi viene per lo più considerato se non la madre almeno la vecchia zia dei Cinque stelle. Ginsborg quel movimento lo aveva costruito letteralmente passo dopo passo, con le “camminate” dei professori fiorentini. 

«Tutti  ricordano il “grido” di Nanni Moretti a piazza Navona del febbraio 2002», racconta Flores d’Arcais, «ma quella stagione nacque da una serie di episodi  inizialmente indipendenti e paralleli. C’era un gruppo di ragazze che tutti i sabato andavano al ministero della giustizia con cartelli che accusavano i politici e Berlusconi, e inneggiavano a Manipulite. Poi organizzammo la presentazione del numero speciale di Micromega, a dieci anni da Manipulite, a fine febbraio. Crescevano le adesioni, chiedemmo il Palavobis di Milano, conteneva 15mila persone, ne rimasero fuori il doppio. Quando a piazza Navona i leader dell’Ulivo chiesero a Moretti di salire sul palco, lui urlò “con questi dirigenti non vinceremo mai, ci vorrebbe un leader come Pancho Pardi”».

Parlava a Piero Fassino e Francesco Rutelli, le loro facce di quel giorno sono indimenticabili. «Ebbene in quel momento Pardi nessuno lo conosceva», assicura Flores d’Arcais, «ma era stato quello che insieme a Ginsborg aveva organizzato una marcia dei professori a Firenze pochi giorni prima. Doveva essere una cosa simbolica e invece si trovarono con migliaia di persone in piazza. Episodi spontanei, che avevano però alle spalle il discorso di Francesco Saverio Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario, e quel suo “Resistere resistere resistere”». 

La stagione dell’insorgenza civica andò dritta a sbattere contro i partiti. E perse. Poi ci fu il movimento viola, nacque Italia dei Valori, Pardi fu eletto senatore. Poi il dipietrismo cedette il passo al grillismo. 

Oggi Pardi ricorda l’amico: «L'antiberlusconismo è stata la molla del nostro comune impegno. Insieme ci siamo ritrovati da studiosi in una situazione un po’ speciale e abbiamo svolto un ruolo diverso da quello per cui eravamo preparati». È un filo di autocritica e piacerà ai detrattori, a chi vede in quella stagione dell’antiberlusconismo la madre del giustizialismo di marca pentastellata.

«Eh no, calma», se la tesi è che quella stagione sia la matrice del grillismo, Bonsanti la respinge: «Fra girotondi e grillini c’è un abisso. Con Paul se ne va un pezzo importante di quella stagione proprio perché è rimasto fedele alla sua cultura politica». La pensa allo stesso modo Flores: «I girotondi erano assolutamente all’opposto, un movimento basato su valori rigorosamente di sinistra. Potremmo dire che era un fenomeno di azionismo di massa».

Se una connessione c'è con i Cinque stelle «è solo nel senso che purtroppo non abbiamo dato ai girotondi una continuità organizzativa. Per questo la rabbia sacrosanta e la protesta è stata utilizzata da Beppe Grillo, che però ha valori che con i girotondi non c’entravano nulla».

Fu, secondo i protagonisti, l’azionismo di massa di una sinistra non comunista, se non proprio anticomunista, come testimoniano gli scontri, rispettosi ma duri, con Rossana Rossanda.

«Né di destra né di sinistra» è una frase che in nessun modo piaceva a Ginsborg. Spenti i girotondi, ha continuato ad animare la sinistra fiorentina, l’associazione Alba, l’assemblea al Mandela Forum, l’associazione Cambiare si può che si ritirò dalla nascente lista di Antonio Ingroia (nascente e morente nel giro di pochi mesi). 

È suo il decalogo dell’Associazione toscana per una Sinistra unita e plurale, anno 2007, che di nuovo fece saltare i nervi ai partiti. «Siamo individui, associazioni, comitati, partiti e movimenti», scriveva, «che non accettano né la deriva moderata del Pd, né la frammentazione, la dispersione e le rivalità che caratterizzano l’attuale sinistra italiana. Abbiamo una grande occasione per ricostruire una politica di cambiamento, continuando a lottare per la difesa e l’attuazione della nostra Costituzione. Il momento storico chiede il coraggio di sperimentare e un’assunzione collettiva di responsabilità».

Parole che per quella sinistra valgono ancora oggi. Anche se non è andata così, e non è andata bene: i partiti della sinistra non sono morti, e per fortuna di tutti, e invece i movimenti civici non si sono più sentiti troppo bene. L’ultimo saluto a Paul Ginsborg sarà sabato 14 maggio a Firenze, alle 15, nella Sala delle Leopoldine, in piazza Tasso.

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