«Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e resetta. Ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a mettere fine a questa degenerazioni». A usare queste parole è papa Francesco, in un colloquio esclusivo con Gian Marco Chiocci di AdnKronos. 

«La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli – racconta il pontefice –. All'inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: "Qui dentro c'è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te". Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera».

«Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c’è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura».

«So che devo fare la lotta alla corruzione, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista, però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio».

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