Partiamo dalla fine. 

Aaron Swartz –  attivista, hacker, intellettuale – è morto, suicida, l'11 gennaio 2013. Aveva solo 26 anni. 

Il giorno dopo, in rete, come margherite a marzo, iniziarono a fiorire articoli, ricordi, fotografie di amici e persone che lo avevano conosciuto, che avevano collaborato con lui in qualche progetto. In un web che certamente che otto anni fa era più innocente – o forse solo meno disilluso –  una comunità di persone che si conosceva quasi solo virtualmente iniziò a piangere su Twitter, su Facebook, su Reddit, su centinaia di blog, in un lamento collettivo e digitale che, personalmente, non avevo ancora mai visto. Otto anni fa era prima che i necrologi delle star diventassero il pane quotidiano dei social network, altro materiale ghiotto per i loro algoritmi famelici, assieme alle nascite e ai matrimoni. Otto anni fa era morto un giovane figlio di internet e internet, la sua famiglia, lo stava piangendo. 

Il prodigio

Aaron Swartz era stato un bambino prodigio: a dodici anni, per un progetto scolastico, creò una enciclopedia a cui tutti potevano contribuire, molto tempo prima prima dell’avvento di Wikipedia. Appena adolescente, partecipò a vari gruppi che stavano scrivendo il codice di base per alcuni pezzi fondamentali della rete, come RSS e le licenze libere Creative Commons, che hanno creato un copyright più flessibile e adatto alla cultura digitale del riuso.

Come molti giovani programmatori geniali, divenne milionario a vent’anni, diventando uno dei co-fondatori di Reddit, che venne comprato subito dal colosso editoriale Condé Nast: come pochissimi di questi geni, rigettò immediatamente la vita agiata del founder della Silicon Valley, tornò a fare ricerca e attivismo, impegnandosi nella costruzione di conoscenza aperta, con associazioni che combattevano per i diritti civili, per la privacy, per la libertà di espressione. Contribuì a dozzine di progetti e associazioni no profit, scrivendo codice, firmando ricerca scientifica, costruendo biblioteche digitali, facendo attivismo online e in piazza per mobilitare le persone contro ogni ingiustizia che riteneva necessitasse del suo tempo. Leggeva centinaia di libri l’anno, raccontandoli sul suo blog. Amava molto David Foster Wallace, e fu molto colpito dal suicidio. 

Nel 2012, Swartz fu uno dei maggiori promotori della protesta contro Sopa, una legge bavaglio che avrebbe limitato enormemente la libertà in rete, negli Usa e nel mondo. In una lunga battaglia che sembrava persa in partenza – all’inizio, i senatori a favore della legge erano la schiacciante maggioranza –  gli attivisti riuscirono a coinvolgere migliaia di persone, fino a convincere persino la comunità di Wikipedia che, per la prima e unica volta nella sua storia, decise di oscurarsi, globalmente, per un giorno. Dopo Wikipedia, altri giganti della rete come Google o Reddit protestarono contro la proposta di legge, che in poco tempo venne archiviata. 

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Open access

Fra le cose di cui si occupò Swartz c’era la questione dell’”accesso aperto alla letteratura accademica”, che è pane quotidiano di ogni ricercatore o dottorando del mondo: quasi l’intero corpus di quello che chiamiamo ricerca scientifica è pubblicato in articoli, contenuti in riviste che sono, con poche eccezioni, a pagamento, a prezzi salatissimi: sono le università a pagare per queste riviste, in modo che i propri docenti e studenti possano studiare e rimanere aggiornati, e fare altra ricerca. La scienza è un’opera collettiva e costruttiva: è necessario leggere la ricerca degli altri per poter fare la propria. 

La cosa bizzarra del sistema è che, in realtà, sono proprio i ricercatori e i professori a scrivere gli articoli, gratuitamente. Tramite il sistema di peer review, sempre gratuitamente, la comunità revisiona sé stessa, selezionando gli articoli migliori e i risultati più promettenti. All’ultimo passaggio, però, in maniera che è difficile spiegare, qualcosa si inceppa in questo circolo virtuoso: gli articoli diventano proprietà delle riviste, quindi dei pochi editori accademici che controllano oltre il novanta percento delle pubblicazioni esistenti.

È bene sottolineare che nessuno degli autori o dei revisori viene pagato. La letteratura accademica nasce proprio come “bene comune”. 

La situazione è paradossale, perché è come avere un mercato in cui il prodotto viene fatto, controllato e comprato dalla stessa comunità di persone, mentre i guadagni vanno ad altri. 

Gli editori accademici sono diventati, in qualche modo, guardiani della conoscenza scientifica, una “risorsa” che naturalmente sarebbe abbondante e viene resa artificialmente “scarsa”, con margini di profitto che farebbero impallidire i giganti tecnologici.

Guerrilla open access manifesto

Per uno come Swartz, era inconcepibile che un “bene comune” come la conoscenza fosse chiuso e inaccessibile a chi non aveva la fortuna di far parte di una grande università. Con altri attivisti, scrisse un manifesto radicale in cui denunciava questa pratica, il Guerrilla open access manifesto. La prima frase recitava: «L’informazione è potere».

Con un computer attaccato alla rete, nascosto dentro un ripostiglio del Mit di Boston, Swartz iniziò a scaricare decine di migliaia di articoli accademici da Jstor, un importante archivio digitale. Era legale scaricare questi articoli, ma solo uno per volta. Swartz, per fare prima, scrisse un piccolo software per fare un download automatico e massivo. 

Era una violazione da poco – quanti di noi non rispettano i termini d’uso di un sito, che neanche leggiamo? – ma comunque una violazione perseguibile: un’occasione troppo ghiotta per l’Fbi, che lo teneva d’occhio da anni, senza essere mai riuscita ad incastrarlo. 

A Swartz, in maniera assurda, vennero contestati una serie di atti di pirateria informatica che praticamente lo equiparavano ad un terrorista, e potevano portare fino a 50 anni di prigione. L’11 gennaio del 2013, a processo ancora in corso, il suo corpo senza vita fu trovato nel suo appartamento di Brooklyn. Come il suo amato David Foster Wallace. 

L’eredità

Quello che rendeva speciale Aaron Swartz era una combinazione unica di abilità: essere contemporaneamente attivista, hacker, intellettuale. Contrariamente alla loro cattiva fama, gli hacker etici sono costruttori: il codice è solo un ulteriore modo di avere un impatto sul mondo, uno strumento molto potente. Unito a una forte consapevolezza politica, a una feroce curiosità e a uno spiccato senso dell’ingiustizia, Swartz riuscì a intrecciare i propri diversi talenti in maniera unica, come diverse corde si intrecciano per formare una fune. Era un poliglotta, conosceva linguaggi –  quindi mondi –  diversi, che lui abitava come se fosse uno solo.

In questo senso, Aaron Swartz è stato un nuovo tipo di intellettuale, il primo di una nuova specie: una persona che cerca di avere cambiare il mondo con le parole, sia che esse siano ragionamenti su un blog, articoli su un’enciclopedia libera, slogan ad una manifestazione, pezzi di codice in un computer, emendamenti ad una legge.       

È giusto leggere in questo modo il suo continuo lavoro per l'accesso alla conoscenza: il sapere deve essere condivisa perché è una forma di empowerment, una modalità per una modifica collaborativa della realtà. Spiegare il mondo diventa un modo per piegare il mondo. Tutto, se condiviso e accessibile, diventa hackerabile. Tutto: ogni istituzione umana, ogni cultura, ogni sistema, ogni codice, ogni struttura. Se rendi il mondo open source, se spieghi come funziona, tutti potranno aggiustarlo, perché l’informazione è potere.

Nell’ultima intervista concessa prima di morire, Swartz diceva: «Ci sono due prospettive opposte: quella per cui Internet ha creato un’enorme libertà, tutto è fantastico e lo diverrà sempre di piú; e quella per cui tutto è terribile, e Internet è uno strumento di oppressione e controllo. Il punto è che sono vere entrambe: Internet è entrambe le cose, è sia incredibile che terrificante, e dipende da noi capire quale prospettiva vincerà. Non ha senso chiedersi se una stia facendo meglio dell’altra, perché sono entrambe vere. E dipende sempre da noi capire quale coltivare e far crescere, perché ci sono entrambe e ci saranno sempre».

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