L’ultimo rapporto dell’Ipcc è passato quasi inosservato a causa degli avvenimenti legati alla guerra in Ucraina, ma il suo contenuto interessa il futuro dell’umanità intera. Rispetto alle precedenti edizioni, quella attuale presenta un maggiore sforzo di integrazione tra le scienze naturali, sociali ed economiche, evidenzia il ruolo della giustizia sociale e offre una riflessione sul fatto che, per affrontare con successo i rischi posti dall’aumento della temperatura media del pianeta, sia necessaria un’azione immediata e urgente.

In molte regioni la capacità di adattamento è già notevolmente limitata, e lo sarà ancora di più se l’aumento della temperatura rispetto ai valori dell’epoca preindustriale supererà 1,5°C. Spiega Piero Lionello dell’Università del Salento e del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici: «Adattamento e riduzione dei rischi sono strettamente collegati alla mitigazione del cambiamento climatico in atto, ossia alle soluzioni capaci di ridurre l’innalzamento della temperatura: maggiore sarà il riscaldamento del pianeta, più limitata e costosa sarà la capacità di adattamento».

Per l’Europa il rapporto dimostra che vi sono quattro categorie di rischio, il cui livello aumenta con l’aumentare del livello di riscaldamento globale. La prima categoria di rischio riguarda le ricadute delle ondate di calore su popolazioni ed ecosistemi. È atteso che a fronte di un innalzamento della temperatura di 3°C, rispetto alla soglia di contenimento di 1,5°C, il numero di decessi e persone a rischio di stress da calore raddoppierà, se non addirittura triplicherà. La situazione è ovviamente più grave nell’Europa meridionale, dove i mutamenti climatici possono farsi sentire prima e più pesantemente rispetto al nord dell’Europa.

Il secondo importante rischio riguarda l’attività agricola. A causa di una combinazione di caldo e siccità, si prevedono perdite importanti in termini di produzione per la maggior parte delle aree europee, che non saranno compensate dai guadagni attesi per un aumento della produttività nell’Europa settentrionale.

Il terzo rischio riguarda la scarsità di risorse idriche. Nell’Europa meridionale il rischio rimane elevato anche nel caso di un livello di riscaldamento globale pari a 1,5°C. In queste regioni infatti, la domanda di risorse idriche supera già oggi le disponibilità, e il divario sta aumentando anche a causa delle problematiche socio-economiche. A fronte di un ipotetico innalzamento di 3°C il rischio di scarsità di risorse idriche diventerebbe dunque molto alto, ma sarebbe significativo anche per le regioni dell’Europa centro-occidentale: in questo scenario sarebbe richiesto un ampio portafoglio di interventi che potrebbero tuttavia non essere sufficienti a colmare la continua mancanza di adeguate risorse idriche.

Le proiezioni dicono che a un aumento della temperatura globale previsto tra 1,5°C e 2°C la scarsità idrica riguarderà, rispettivamente, il 18 per cento e il 54 per cento della popolazione, mentre a un aumento di 3°C l’aridità del suolo risulterebbe superiore del 40 per cento.

Il quarto rischio riguarda infine la maggiore frequenza e intensità di inondazioni. A causa dei cambiamenti nelle precipitazioni e dell’innalzamento del livello del mare, i rischi per le persone e le infrastrutture derivanti soprattutto dalle inondazioni costiere, fluviali e pluviali aumenteranno in molte regioni d’Europa.

Gettando un occhio particolare alla regione mediterranea, i dati sostengono che qui la temperatura si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi al di sopra della media globale, particolarmente in estate. Questo vale sia per l’ambiente terrestre, sia per quello marino. La regione diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione delle precipitazioni e dell’aumento dell’evapotraspirazione. Allo stesso tempo in alcune aree le precipitazioni estreme aumenteranno, il livello del mare crescerà seguendo l’aumento del valore medio globale. L’aumento sarà irreversibile e progressivo su scale plurisecolari. Ancora Lionello: «I rischi associati al cambiamento climatico previsto sono particolarmente elevati per le persone e gli ecosistemi nel bacino del mediterraneo a causa della combinazione di vari fattori, tra questi una popolazione urbana numerosa e in crescita, esposta alle ondate di calore, con accesso limitato all’aria condizionata».

Un altro grave problema che interessa e interesserà sempre più il mediterraneo è l’innalzamento del livello del mare, il quale è già cresciuto di 1,4 millimetri l’anno nel corso del Ventesimo secolo. L’incremento è accelerato alla fine del secolo e si attende che continui a crescere in futuro a un tasso simile alla media globale. L’aumento del livello del mare continuerà anche nel caso in cui le concentrazioni di gas serra si stabilizzeranno. Il fenomeno ha già oggi un impatto sulle coste del mediterraneo e in futuro aumenterà i rischi di inondazioni costiere, erosione e salinizzazione.

Le coste sabbiose strette che sono di grande valore per gli ecosistemi costieri e per il turismo sono a rischio di scomparsa. Per affrontare il problema saranno necessarie opere ingegneristiche di varia scala che, se da un lato possono apporsi agli effetti dell’innalzamento marino, dall’altro hanno effetti negativi sugli ecosistemi, sull’attrazione turistica della linea costiera e sui costi economico-finanziari.

Polverizzare l’asteroide

Non è necessario che la Terra sia colpita da un asteroide simile a quello che spazzò via i dinosauri 66 milioni di anni fa per avere ricadute drammatiche, può bastare un oggetto con dimensioni anche di molto inferiori. In quel caso l’asteroide aveva un diametro di circa 10 chilometri, ma anche asteroidi di poche centinaia di metri di diametro possono distruggere completamente una città causando milioni di vittime.

Fortunatamente ci sono scienziati e ingegneri che lavorano per la difesa planetaria e studiano i sistemi migliori per opporsi a eventi catastrofici del genere. Uno di questi è Philip Lupin dell’Università della California a Santa Barbara. Lo scienziato sta sviluppando un nuovo sistema chiamato PI-Terminal defense for humanity, dove PI sta per polverize it (polverizzalo), per distruggere un ipotetico asteroide pericoloso per la Terra. Lupin ipotizza che polverizzare un asteroide sia il miglior modo per evitare che impatti con il nostro pianeta. Lo scienziato ha presentato la sua idea alla Conferenza sulla difesa planetaria del 2021, premiata ora dal programma Iac (Innovative advanced concepts) della Nasa che sta prendendo in seria considerazione la sua ipotesi. 

«Finora l’umanità è stata risparmiata da una catastrofe su larga scala come invece subirono i nostri precedenti inquilini, i dinosauri, ma contare sulla fortuna è una strategia che a lungo termine non paga», ha detto Lupin.

Fino a oggi l’idea considerata migliore per far fronte a un asteroide in avvicinamento alla Terra era quella di inviare in sua prossimità un oggetto di una certa dimensione che impattando con l’asteroide stesso lo facesse deviare dalla sua traiettoria. Una metodologia che almeno sulla carta è sicuramente valida, ma lo è se si riesce a impattare l’asteroide quando è ancora molto lontano dalla Terra. Se, al contrario, fosse vicino al nostro pianeta, deviarlo di pochi gradi rischierebbe di far solo cambiare il punto di impatto e questo potrebbe creare problemi politici praticamente irrisolvibili. Come agire allora se si scopre un asteroide quando è vicinissimo al pianeta?

Ormai da tempo l’idea di lanciare armi nucleari per frantumare l’oggetto è stata quasi del tutto abbandonata, perché non è detto che l’oggetto si riduca in pezzi che possano bruciare all’interno dell’atmosfera senza causare danni. Varie simulazioni infatti, dimostrano che un oggetto bombardato da armi atomiche non si frantuma in corpi piccoli, ma si spacca in più frammenti che andrebbero a colpire la Terra in più punti.

Ed ecco l’idea di Lupin: si tratta di progettare un dispositivo che colpendo una faccia dell’asteroide riesca a infilare al suo interno delle aste riempite di esplosivi, le quali detonando riuscirebbero a polverizzare letteralmente gran parte dell’asteroide. I corpi che si verrebbero a formare avrebbero un diametro non superiore ai 15 metri, i quali, precipitando nell’atmosfera terrestre, verrebbero sicuramente bruciati. Quindi non una grande bomba da far esplodere in prossimità o sulla superficie dell’asteroide, ma tante bombe da far scoppiare in profondità.

«L’efficacia dell’approccio», spiega Lupin, «dipende soprattutto dal momento in cui si attacca l’asteroide. Se è ancora sufficientemente lontano dalla Terra è possibile pensare a due o più interventi di polverizzazione, mentre se lo si scopre quando è molto vicino bisognerà affidarsi a un solo intervento».

Idealmente sarebbe buona cosa pensare di parcheggiare in orbita terrestre o addirittura sulla Luna una serie di satelliti o di razzi di pronto intervento, da inviare verso l’asteroide pericoloso non appena lo si scopre. Stando ai calcoli fatti da Lupin, un oggetto come quello esploso sopra Chelyabinsk nel 2013 – che ha fatto centinaia di feriti e notevoli danni – pur avendo un diametro di meno di venti metri, potrebbe essere polverizzato con un avviso di sole cinque ore e con il lancio di un solo satellite PI.

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