Non sarà la manifestazione di ieri a Torino a convincere il ceo di Stellantis, Carlos Tavares – e men che meno quel che resta della fu proprietà Agnelli – ad aumentare la produzione di autoveicoli a Mirafiori a quota 200.000 unita annue, soglia sotto la quale, come diceva Umberto Agnelli «non vale nemmeno la pena di accendere la luce».

In piazza Statuto – luogo storico della sinistra torinese sin dal 1960, quando si svolse la battaglia che inaugurò l’epoca degli scontri politici conclusasi dopo oltre venti anni – ieri mattina erano presenti seimila tra uomini e donne del mondo Fiat: lavoratori, lavoratici, moltissimi sindacalisti, qualche politico a caccia di selfie e interviste da spendere in campagna elettorale, una manciata di studenti che scandivano slogan da anni Settanta, qualche aderente ai Friday for Future, pochissimi torinesi convenuti per dare solidarietà al mondo operaio che ancora occupa decine di migliaia di posti.

Il corteo

Un grosso corpo vagamente estraneo alla città si è mosso per le vie del centro, ingrossandosi cammin facendo lungo la stretta via Cernaia sotto i cui eleganti portici i passanti osservavano ignari quanto stava accadendo.

Il lento incedere ha bloccato il centro di Torino per alcune ore, poi il corteo è arrivato in piazza Castello dove si dovevano tenere i comizi conclusivi, rituale probabilmente considerato ormai vetusto perché la gran parte dei partecipanti non si è fermata.

Sono passati davvero tanti anni dall’ultima manifestazione metalmeccanica torinese, per di più unitaria: l’ultima che si svolse su questo percorso in un giorno infrasettimanale fu quella successiva alla strage Thyssen, un corteo cupo e silenzioso.

Trazione Fiom

Quella di ieri si può vedere come un robusto tentativo di ripartenza a difesa di un comparto industriale che genera almeno 60.000 posti di lavoro di qualità tra Torino e provincia, e tutti i corpi intermedi del territorio, senza distinzione ideologica, si sono mobilitati. Chi con un’attitudine più conflittuale, Fiom- Cgil, chi invece attraverso appelli al dialogo e alla collaborazione: industriali, commercianti, Confcooperative, Coldiretti, Lega Coop, partiti politici moderati e di governo.

La Fiom ha mobilitato le sue forze ed era ben riconoscibile come il motore dello sciopero e della manifestazione: bandiere, striscioni, cori, delegazioni in arrivo da tutta Italia, rappresentanze delle varie industrie che versano in crisi, l’ecosistema del sindacato metalmeccanico Cgil componeva due terzi dell’intero serpentone che si è mosso per Torino.

Presenti Fim-Cisl e Uilm-Uil, mentre in fondo al corteo, un po’ staccati ma ben compatti e molto colorati sfilavano Ugl, con qualche testa rasata a fare servizio d’ordine, Fismic, tutti col cappellino verde, e poi gli eredi della “marcia del quarantamila”, i rappresentanti della Associazione quadri e capi Fiat.

Politici assortiti

Alberto Cirio, presidente del Piemonte e prossimo trionfatore delle elezioni regionali per mancanza di avversari, dispensava sorrisi e pacche sulle spalle, piacionissimo come da consuetudine. Un selfie con un compagno della Fiom con tanto di bandiera, poi uno con Marrone, il suo assessore di FdI, e avanti così.

Il sindaco di Torino Stefano Lorusso, decisamente più sobrio, non ha mai avuto un buon feeling con gli operai Fiat – l’ultimo primo cittadino in tal senso è stato Sergio Chiamparino, che è uscito di scena nel 2011 – così in mezzo al corteo, a pochi passi dalla presenza fisica del sindaco, c’era una grande striscione con una maxi foto nella quale Lorusso è intento a scattare un selfie in compagnia di Taveres e di Alberto Cirio, tutti sorridenti nella fabbrica di Mirafiori due giorni fa.

Sullo striscione – foto una domanda scritta a caratteri cubitali “Voi da che parte state? Con noi o con Tavares?”. Non pochi i mugugni su questo curioso selfie tra i manifestanti.

Ombre cinesi

Ora la partita si sposta sul piano politico nazionale. A gran voce più o meno tutti e tutte hanno scandito quello che è diventato lo slogan di questa vertenza: «Meloni deve convocare Tavares».

Il seguito non è chiaro, ma si presume che la presidente del Consiglio dovrebbe “minacciare” Stellantis di portare nuove produzioni in Italia dalla Cina, in particolare a Mirafiori, qualora non giungessero investimenti adeguati da parte della multinazionale franco italiana. Due giorni fa il ministro delle Imprese Adolfo Urso è giunto a Torino e non ha resistito a polemizzare con Stellantis, accusandola di non poter utilizzare il nome “Milano” per l’ultimo modello lanciato, dato che viene assemblato in Polonia. Tavares ha risposto che se la Milano fosse fatta in Italia costerebbe 40.000 euro anziché 30.000. Fine delle discussioni.

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