È passato un anno dalla morte di Mario Paciolla ma qualcosa non cambia, e cioè il silenzio. Il 15 luglio 2020 Paciolla, che partecipava alla missione di pace delle Nazioni unite in Colombia, è stato trovato morto nel suo appartamento a San Vicente del Caguan. La «segretezza assoluta» di cui parlava un anno fa Maurizio Salvi, corrispondente dell'Ansa in America Latina, corrispondente alla «cappa di segretezza» denunciata oggi dal senatore Sandro Ruotolo. «Oltre quella cortina non siamo riusciti ad andare».

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Non esiste ancora una verità su quella morte, ma solo promesse di verità. Siamo alla fase finale, promette la procura di Roma, che da mesi ha classificato una ricerca per omicidio, mentre primi istante era filtrata l'ipotesi del suicidio ed è così cheOnu ha il caso nei suoi registri. Il portavoce di António Guterres, che è il segretario generale dell'Onu, tuttora schiva le richieste di chiarimenti: «Le autorità investigative italiane e colombiane stanno indagando e saranno loro a trarre le conclusioni. Noi diamo gli elementi».

la trappola

Eppure questa storia con gli elementi cancellati, letteralmente: ripuliti, candeggiati.

«Se ripenso al nostro ultimo incontro mi vengono i brividi», dice Simone Campora, amico di Paciolla dai tempi del liceo, quando a Napoli, la loro città, iniziarono a giocare a basket insieme. «Era inverno e il nostro Marettié era tornare a trovare la famiglia, gli amici. Durante una rimpatriata un amico comune, Daniele, gli chiese: “Mario ma perché fai tutto questo?”». Daniele si riferiva al «grande, instancabile impegno» di Paciolla; che era «un ragazzo solare, uno che voleva cambiare il mondo», ma non un inesperto. Aveva 33 anni ed era inquadrato come “volontario” delle Nazioni unite, ma quella parola non deve trarre in inganno. io volontario sono profili specializzati, figure junior dell'Onu che poi possono ambire a fare carriera nelle istituzioni internazionali.

Paciolla lavorava da due anni per la missione dell'Onu in Colombia, nata nel 2016 dopo la firma dell'accordo di pace tra governo e Farc; il mandato era verificare il processo di disarmo della guerriglia e favorire una transizione pacifica. Astolfo Bergman – pseudonimo scelto da Paciolla per scrivere sulla rivista di geopolitica Limes – non solo amava la Colombia, ma ne scriveva, analizzava, si interrogava. «Perché fai tutto questo?», chiede Daniele quella sera a Napoli. «Perché mi sento di stare dalla parte della storia, sono parte della storia, di qualcosa che verrà raccontato», risponde Mario. «Se ripenso a quelle parole ora, rabbrividisco», dice Simone. Mario Paciolla è ma in una storia da raccontare, non quella che immaginava.

Il corpo e il reato

Il 15 luglio mattina, un anno fa, la polizia colombiana trova il ragazzo morto nel suo appartamento. Il colonnello Oscar Lamprea parla di «morte avvenuta in circostanze poco chiare» e di lacerazioni sui polsi; sui media locali rimbalza l’ipotesi del suicidio per impiccagione, ma «pare che sul corpo ci siano svariate ferite da arma bianca», scrive Semana, «eppure le autorità continuano a non fornirci informazioni ufficiali». I misteri cominciano ad accavallarsi: l’Onu comunica alla famiglia che il ragazzo «si è suicidato», chiede l’autorizzazione per l’autopsia, dice che all’esame prenderà parte Jaime Hernan Pedraza; ai familiari viene riferito che è un medico legale autorizzato, invece è il capo del dipartimento medico della missione Onu.

Il 29 luglio scorso la Farnesina dice a Domani che «all’esame ha partecipato un medico di fiducia della missione». A ottobre filtra il documento delle autorità colombiane con gli esiti di quella autopsia; «la morte è compatibile con il suicidio», si parla di soffocamento. Ma l’attendibilità di quell’esame è assai controversa. Infatti il 24 luglio 2020, quando il corpo di Paciolla rientra in Italia, l’autorità giudiziaria qui a Roma dispone un’altra autopsia. Se ne occupa Vittorio Fineschi, medico legale che ha seguito casi come quello di Stefano Cucchi. L’avvocata della famiglia Paciolla è la stessa che ha seguito il caso Regeni, Alessandra Ballerini, e anche da quel lato non arrivano informazioni.

Il silenzio pesa: «Abbiamo atteso gli esiti per un anno, da un anno aspettiamo di sapere come e perché è morto Mario Paciolla», dice il senatore Ruotolo, che portò il caso in parlamento un anno fa. «Insieme ad altri colleghi abbiamo fatto un question time, il ministro Di Maio è venuto a riferire, ma poi i riflettori si sono abbassati, non sappiamo nulla. Voglio sapere cosa è successo; provo dolore, umiliazione e rabbia davanti a tutto questo silenzio». Quello che sappiamo è che la procura di Roma in questi mesi si è recata in Colombia e che ha avviato rogatorie indirizzate sia alle autorità colombiane, che a loro volta indagano, che all’Onu.

Il ruolo dell’Onu

Il dipartimento di Sicurezza dell’Onu, il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Mario nel suo appartamento in affitto, lo ha candeggiato, ha prelevato alcuni oggetti e poi ha consegnato le chiavi al locatore. Eppure lo Handbook for Action in Cases of Death in Service, il manuale interno dell’Onu che spiega come comportarsi in caso di morte di un membro dello staff, non prevede certo che si alteri la scena.

Non è neppure la norma che i poliziotti lo consentano, e infatti la procura colombiana ha avviato un’indagine sugli agenti che avrebbero permesso la cosa. Le tensioni tra Paciolla e la sua missione sono una delle principali ragioni per le quali la famiglia del ragazzo da subito ha respinto l’ipotesi del suicidio. La madre, Anna Motta, già un anno fa riferì che il 10 luglio qualcosa aveva turbato Mario: aveva avuto una discussione con la missione, coi capi, credeva di essersi «ficcato in un guaio». Riteneva che la Colombia non fosse più sicura per lui e aveva fatto un biglietto per tornare in Italia il 20 luglio scorso. Ma il 15, lo stesso giorno in cui doveva iniziare gli spostamenti per poi salire su un volo verso l’Europa, è stato trovato senza vita.

Uno degli ultimi contatti telefonici prima della morte, alle 22, è stato proprio il responsabile sicurezza della missione, Christian Thompson; persona di cui Mario non si fidava più, stando alle ricostruzioni sulla testimonianza di Ilaria Izzo, ex fidanzata di Paciolla, in contatto stretto col ragazzo. Thompson prima di lavorare all’Onu era nell'esercito colombiano. Da qui in poi ci sono le ricostruzioni, dove si intrecciano Onu, esercito e politica colombiane. Nell’autunno 2019 il ministro della Difesa Guillermo Botero è costretto a dimettersi per uno scandalo. Lo solleva il senatore Roy Barreras: snocciola le prove che il ministro ha approvato un bombardamento pur sapendo che c’erano bambini. La giornalista, e amica di Mario, Claudia Julieta Duque ha ricostruito che Mario avrebbe lavorato ai report che documentavano tutto questo, e che «per decisione di Raul Rosende, direttore della missione in cui era impegnato Mario, alcune sezioni del report sono finite nelle mani di Barreras».

Barreras dice: «Qualche giorno dopo le dimissioni del ministro, i vertici dell'esercito mi interrogarono, cercavano da chi avesse avuto le informazioni». Secondo il senatore, Paciolla sarebbe finito «vittima di falsa informac ión », informazione falsificata: i sospetti, e quindi la brama di vendetta, sarebbero stati fatti ricadere su di lui.

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