Colpito da un proiettile alla nuca, sparato da qualcuno che era alle sue spalle. No, un colpo alla tempia, con l’assassino che gli era di fronte. Un killer professionista, che non conosceva, assoldato allo scopo di farlo fuori. No, una persona a lui conosciuta, che lo ha freddato senza pietà. A due anni dalla morte di Diabolik, al secolo Fabrizio Piscitelli, ultras della Lazio e fascista, trafficante di droga, accusato di essere a capo di un’organizzazione mafiosa, considerato uno dei boss più potenti della capitale, ancora non sappiamo chi lo abbia ucciso, né il perché. Insomma, prendendo in prestito uno dei titoli più famosi del giornalismo italiano, di sicuro c’è solo che è morto. «A oggi si può dire tutto e il contrario di tutto», dice uno degli investigatori.

Infatti negli ultimi 24 mesi si sono seguite piste e teoremi, sono stati pubblicati articoli di giornale con le più disparate ricostruzioni. La procura di Roma continua a indagare sul fatto di sangue più eclatante degli ultimi anni, ma l’inchiesta è ancora aperta. E nel mirino degli investigatori antimafia non ci sarebbe solamente la morte del narcotrafficante, ma tutto il sistema di potere criminale capitolino: un’indagine lunga e complessa. Per questo a piazzale Clodio nessuno ne parla.

Una nuova pista

C’è però un elemento nuovo, che Domani è in grado di rivelare: l’interesse di pm e investigatori si è concentrato sul nome di un uomo dei clan, poco conosciuto ai più, ma dall’indubbio carisma criminale. Qualcuno ha provato a farlo fuori con un agguato in pieno giorno, in una strada trafficata, tre mesi dopo l’assassinio di Piscitelli. È un uomo di Ostia, da qualche mese in carcere a Rebibbia per altri reati: lì è stato uno dei capi della rivolta nella prigione avvenuta all’inizio dell’epidemia di Covid-19. Ancora non si sa chi ha cercato di ucciderlo a novembre del 2019, ma potrebbe essere stato un tentativo mal riuscito di vendetta.

Si tratta di Leandro Bennato, classe 1979, di Ostia. Al momento non risulta indagato per l’omicidio di Diabolik, ma è finito più volte nei guai con la giustizia. Legato al potente clan Fasciani, per anni egemone nella città sul litorale romano, il suo nome spunta anche tra le carte di Grande raccordo criminale, l’inchiesta della Dda di Roma condotta dalla Guardia di finanza, che ha svelato le attività del cartello di Diabolik, del suo braccio destro Fabrizio Fabietti, e dei loro sodali: albanesi, camorristi, uomini delle ‘ndrine, ex della Banda della Magliana. Bennato avrebbe aiutato la banda che faceva “recupero crediti” per Piscitelli. Dopotutto Ostia è la città su cui Diabolik ha trattato una pace mafiosa, insieme a Salvatore Casamonica, per mettere fine alla lotta tra clan nel dicembre 2017. Ma l’attentato in che modo è legato alla morte di Piscitelli?

Disperati e chiacchieroni

Se sulla morte del leader degli Irriducibili della Lazio si possono fare solo ipotesi, sulla sua vita negli ultimi mesi hanno cominciato a emergere nuovi particolari. Un po’ dalle carte di inchieste passate, in cui nome di Diabolik spunta anche se non era indagato. Un po’ dalle chiacchiere che si fanno nelle carceri dove Piscitelli era molto conosciuto non solo per il suo ruolo nel mondo criminale, ma anche per quello di leader della tifoseria laziale.

«Ripeteva sempre una frase, Fabrizio: “Mai mettersi con i disperati, perché i disperati ti mandano bevuto”», racconta a Domani una persona a lui vicina. «Lui invece chiacchierava tanto, forse troppo», ricorda. Come a dire: non solo i disperati mandano bevuti, ma anche i chiacchieroni.

Diabolik però ha sempre tenuto alla sua fama di duro e puro. Tanto che chi andava contro di lui o osava dire una parola in più sul suo conto, magari lamentandosi perché era troppo loquace, faceva una brutta fine. Come un altro dei fondatori degli Irriducibili, Fabrizio Toffolo, gambizzato due volte: una nel 2007, l’altra nel 2013. Dopo il secondo agguato, un informatore anonimo della Digos aveva detto agli investigatori che il mandante era stato Piscitelli, che però non è mai stato coinvolto nelle indagini. «C’è anche un’altra storia che si racconta in giro: avrebbe fatto menare il fratello di uno grosso che andava in giro a dire che era un mezzo informatore», continua il racconto della nostra fonte.

Un dubbio però viene: come è possibile che Piscitelli l’abbia fatta franca per così tanto tempo, nonostante i pesanti reati di cui è stato accusato?

Perché la sua ascesa criminale è stata interrotta solo dalla sua morte? È possibile che fosse un informatore di peso delle forze dell’ordine?

Parola di boss

«Il fratello è poliziotto, arresta la gente, e lui è delinquente. È stato sempre vicino a loro. Lo hanno arrestato un paio di volte, lui non se l’è mai cantata». A parlare di Diabolik nelle carte di una vecchia inchiesta è Vincenzo Triassi, uomo legato a Cosa Nostra e per anni attivo a Ostia, considerato dai magistrati capo della mafia siciliana sul litorale laziale, anche se sempre assolto in Cassazione. Non parla solo di Fabrizio, ma anche del fratello Andrea. Recentemente è stato fermato con una pistola con matricola abrasa. È Andrea ad avere un passato nelle forze dell’ordine: il diavolo e l’acqua santa.

Di sicuro c’è che Diabolik sapeva bene come si muovevano gli investigatori. «La droga con gli aerei la portano solo le guardie», ha risposto così pochi mesi prima di morire alla proposta di un infiltrato della Guardia di finanza che voleva far atterrare a Roma un carico di sette tonnellate di cocaina.

E aveva ragione: poco tempo dopo i magistrati hanno arrestato Salvatore Casamonica e altri sei per il tentativo di importazione. Diabolik l’ha scampata. Ed era un uomo libero fino a quando, il 7 agosto di due anni fa non è stato ucciso. Chissà da chi, chissà perché.

 

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