Quello che temevamo forse è già accaduto: in India è comparsa una nuova variante di Omicron, denominata BA.2.75.2, che è più trasmissibile e più immunoevasiva di tutte le precedenti, e si sta diffondendo rapidamente tra la popolazione.

Questa nuova sottovariante BA.2.75.2, come indica il nome, ha avuto origine da una mutazione della sottovariante di Omicron BA.2.75, quella soprannominata Centaurus. BA.2.75 era stata isolata per la prima volta in India a maggio, era rapidamente diventata dominante nel paese infettando milioni e milioni di persone, il che ha favorito la nascita di nuove mutazioni.

E così è nata BA.2.75.2, che è letteralmente stracolma di mutazioni che le conferiscono una immunoevasività mai vista prima, e grazie a questa sua dote in molti paesi sta rapidamente soppiantando le altre varianti. Per ora è presente in India, Cile, Gran Bretagna, Singapore, Spagna e Germania. Gli esperti la stanno tenendo sotto stretto controllo perché temono che possa rapidamente soppiantare le varianti Omicron 4 e 5, e infettare nuovamente milioni di esseri umani in tutto il mondo.

Solo tre giorni fa un gruppo di scienziati guidati dal professor Ben Murrell, dell’Imperial College di Londra, ha pubblicato online un pre-print dal titolo ammonitorio: “La sottolinea di Omicron BA.2.75.2 mostra enormi capacità di sfuggire agli anticorpi neutralizzanti”. Ciò significa che gli anticorpi indotti dalle infezioni precedenti e dalle vaccinazioni sono quasi del tutto impotenti contro questa nuova sottovariante.

Essa pare anche resistente contro tutti gli anticorpi monoclonali disponibili, tranne uno.  Infine, come scrivono gli scienziati: «Esperimenti condotti in vitro hanno mostrato che in campioni di sangue estratti da donatori di Stoccolma, in Svezia, BA.2.75.2 viene neutralizzata in media cinque volte meno potentemente di BA.5, e ciò rende BA.2.75.2 la sotto-variante più resistente alla neutralizzazione misurata finora».

Sfuggire agli anticorpi

Finora, la sottovariante di Omicron BA.2.75 non aveva destato troppe preoccupazioni perché, come scrivono Murrell e i suoi colleghi, «BA.2.75 rimaneva sensibile a classi di anticorpi ai quali invece Omicron 5 era in grado di sfuggire». Cioè, chi era stato infettato anche da varianti precedenti del coronavirus – come Delta –  possedeva anticorpi che lo proteggevano in maniera efficace da BA.2.75, e che invece non lo proteggevano da Omicron 5.

Invece ora «la comparsa e la rapida crescita di questa sottolinea di BA.2.75., denominata BA.2.75.2, che porta alcune mutazioni aggiuntive quali R346T, F486S, e D1199N, suggerisce che essa abbia ben maggiori capacità di sfuggire agli anticorpi neutralizzanti». In altre parole, anche chi si è già ammalato di Covid perché era stato contagiato da Alfa, Delta od Omicron, ora potrebbe ammalarsi di nuovo se contagiato dalla nuova sotto-sottovariante BA.2.75.2.

Cosa dobbiamo fare ora? Conviene fare la quarta dose con i nuovi vaccini aggiornati – che magari si riveleranno inefficaci contro questa nuova sottovariante – oppure aspettare? Eric Topol, una delle massime autorità sulla pandemia, epidemiologo dell’Istituto Scripps di La Jolla in California, in un suo articolo scrive, parafrasando Shakespeare, «fare il richiamo o non farlo: questo è il dilemma».

Negli Stati Uniti solo il 33 per cento della popolazione ha fatto il richiamo – cioè la terza dose di vaccino – e ancor meno hanno deciso di iniettarsi la quarta. La maggior parte delle nazioni occidentali più ricche del globo hanno tassi di vaccinazione almeno doppi rispetto agli Stati Uniti.

Eppure, tutte le evidenze scientifiche dimostrano che il richiamo è indispensabile. Una vasta sperimentazione clinica condotta nel 2021 dalla casa farmaceutica Pfizer su un campione di più di 10.000 individui prova che il richiamo – cioè la terza dose di vaccino – riduce del 95 per cento in tutte le classi di età il rischio di contrarre un’infezione sintomatica – che all’epoca era causata dalla variante Delta del coronavirus – di sviluppare una malattia grave e di morire.

L’efficacia del vaccino ritorna pari a quella originaria (95 per cento) misurata dopo la prima dose. E il richiamo è sicuro, non provoca gravi effetti collaterali, né miocarditi.

La quarta dose 

Studi successivi (almeno cinque, condotti su vasti campioni di popolazione in Israele, negli Usa e in Svezia) hanno dimostrato che l’immunità indotta dal vaccino comincia a declinare dopo circa sei mesi, e quindi è necessaria una quarta dose, che riduce del 75-80 per cento in tutte le classi di età il rischio di contrarre un’infezione sintomatica, di sviluppare una malattia grave, di finire in ospedale e di morire. Inoltre, la quarta dose protegge in maniera efficace anche contro il cosiddetto “long Covid”.

Poi, però, sono arrivate le ondate successive provocate dalle diverse varianti di Omicron che sono in grado di sfuggire all’immunità indotta delle infezioni precedenti e dai vaccini. Durante queste ondate la protezione garantita dal vaccino, e dai booster contro l’infezione e la trasmissione del virus, è scesa a livelli bassi, tra il 30 e il 40 per cento dopo due mesi. Infatti, come abbiamo potuto sperimentare, in questi ultimi mesi quasi tutti noi siamo stati reinfettati dal virus.

Da pochi giorni sono stati approvati i due nuovi vaccini aggiornati – i vaccini bivalenti di Pfizer e Moderna contro la variante originaria di Wuhan e Omicron 1, e quello di Pfizer contro la variante originaria di Wuhan e Omicron 4 e 5.

I dati relativi alla sperimentazione sull’uomo del vaccino bivalente di Moderna contro Omicron 1 sono stati pubblicati pochi giorni fa, e mostrano che esso induce una produzione di anticorpi neutralizzanti contro Omicron 1 e Omicron 5 doppia rispetto a quella indotta dalla terza dose del vaccino non aggiornato, che è un incremento piuttosto scarso.

Probabilmente il vaccino bivalente contro Omicron 4 e 5 non otterrà risultati migliori. «Questi dati sull’uomo mostrano una tendenza preoccupante», scrive Topol, «perché provano che i vaccini contro Omicron inducono una produzione di anticorpi molto più bassa rispetto a quella indotta dal vaccino contenente il virus ancestrale originario cinese».

Imprinting” immunitario

Cosa sta accadendo?  Ci sono due spiegazioni possibili. La prima è che le varianti di Omicron siano molto meno immunogeniche, cioè stimolino il nostro sistema immunitario in maniera molto meno potente del ceppo originario cinese del coronavirus.

La seconda è che si stia verificando il cosiddetto “imprinting” immunitario: la prima volta che il nostro sistema immunitario incontra un nuovo antigene – come il coronavirus cinese originario – monta una risposta molto potente ma poi, col passare del tempo, se incontra di nuovo quell’antigene di poco mutato rispetto al precedente – come capita con le successive varianti del coronavirus – è capace di montare una risposta via via più debole, come se si fosse abituato a esso.

Probabilmente ora stanno accadendo tutti due questi fenomeni in contemporanea: Omicron è più immunoevasiva e quindi induce una risposta immunitaria minore. Inoltre il nostro sistema immunitario, abituato e sfiancato dalle ondate precedenti del coronavirus, risponde in maniera sempre meno efficace.

In ogni caso, i booster e la quarta e dose di vaccino ci garantiscono benefici indubbi, perché sicuramente ci proteggono dalla malattia grave, ci aiutano a ridurre il rischio di long Covid, e certamente hanno un effetto nel ridurre l’infezione e la trasmissione del virus, almeno nei primi due mesi.

Cosa dovremmo fare in futuro? Sicuramente non potremo continuare a iniettarci un richiamo del vaccino ogni 4-6 mesi, e l’idea di farci un richiamo di vaccino all’anno prima che arrivi l’inverno – come capita con l’influenza – è irrealizzabile perché il coronavirus non ha un andamento stagionale paragonabile a quello del virus dell’influenza, che provoca molti casi in inverno e praticamente nessuno in estate. Penso che ormai tutti, dopo questa ondata di Omicron in piena estate, lo abbiano capito.

Ma adesso è comparsa questa nuova variante da tenere sotto stretto controllo: BA.2.75.2, che è figlia di BA.2.75, e che possiede tre nuove mutazioni molto preoccupanti a livello della proteina Spike. La terza e la quarta dose del vaccino garantiscono una protezione importante specie per le persone di età superiore cinquant’anni, e sono anche caldamente raccomandate per tutti quelli che hanno più di 12 anni. Dovremo fare la quinta dose di vaccino?  Probabilmente sì, ma quando? Per rispondere a questo quesito, dovremo prima aspettare le prossime settimane per capire come si evolve la nuova variante BA.2.75.2.

Come scrive Topol: «È arrivato il momento in cui dobbiamo smettere di rincorrere il Sars-CoV-2 e invece dobbiamo mettere in piedi una risposta e aggressiva per anticipare le mosse del coronavirus e fermarlo una volta per tutte».

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