Il dossieraggio ha un preciso significato: confezionare notizie false o verosimili per screditare una persona. Accuse fondate sul nulla, su voci o su pezzi di verità. Lo spionaggio, poi, è un’attività specifica: carpire segreti di nascosto e usarli per scopi personali. I tre giornalisti di Domani sono invece accusati di rivelazione di segreti e accesso abusivo alle banche dati in concorso con il finanziere Pasquale Striano, all’epoca a capo dell’unità Sos (segnalazioni operazione sospette) interna alla procura nazionale antimafia. E di «dossieraggio» o «spionaggio» non c’è traccia nelle carte della procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, che insieme al capo della procura nazionale antimafia, Giovanni Melillo, hanno chiesto di essere auditi in commissione antimafia: mercoledì 6 marzo sarà il turno di quest’ultimo, mentre Cantone andrà il giorno successivo.

Quanto la destra voglia cavalcare l’operazione lo si capisce dall’attacco a Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia all’epoca in cui Striano e il pm Antonio Laudati (anche lui indagato) operavano nello stesso ufficio. Forza Italia chiede che Cafiero De Raho, ora parlamentare dei 5Stelle e vice presidente della commissione antimafia, non presenzi alla seduta. La Lega va oltre paventando che dietro tutto questo non ci possa essere solo un finanziere, ma molto di più, un sistema di dossier e spie. Salvini parla di «sistema contro la Lega». Tuttavia non c’è nulla di più distante dalla realtà e dagli atti della procura. Dove i termini dossieraggio e spionaggio non esistono.

«Dossieraggio» e «spionaggio», dunque, tutta farina del sacco mediatico, dove notizie vere e pubblicate sono fatte passare per invenzioni usate contro qualcuno.

L’inchiesta di Perugia sulla fughe di notizie dalla banca dati della procura nazionale antimafia ha fornito l’assist perfetto a una parte della politica per condurre la battaglia contro le segnalazioni per operazioni sospette. Si tratta delle cosiddette Sos dell’antiriciclaggio di Banca d’Italia, che contengono informazioni sui flussi finanziari considerati sospetti. Una categoria specifica nel mare di segnalazioni è identificata con la sigla “Pep”, che sta per “Persona politicamente esposta”.

In questa categoria rientrano i membri dei partiti, di una fondazione o associazione collegate a un partito. Tra questi, però, possono rientrare anche assistenti, consulenti, familiari se hanno legami stabili con le persone politicamente esposte. Il motivo per cui la normativa ha dedicato una precisa categoria è semplice: monitorare con attenzione eventuali movimenti bancari sopra una certa soglia di chi rappresenta le istituzioni, che più di altri hanno la responsabilità della gestione di risorse della collettività. In un paese con il più altro grado di corruzione e distrazione di denaro pubblico in Europa.

La procura guidata da Raffaele Cantone ha deciso così di indagare anche sull’accesso a questa particolare banca dati dove confluiscono le Sos inviate dall’Ufficio informazione finanziaria (Uif) di Banca d’Italia. La stragrande maggioranza delle inchieste sulla pubblica amministrazione, sulla corruzione o sul traffico di influenze, ma anche sulle organizzazioni mafiose, è cominciata proprio dai documenti dell’antiriciclaggio. Dall’analisi di queste relazioni i pm hanno ritenuto di avviare verifiche ulteriori scoprendo enormi giri di soldi, dietro i quali si celavano mazzette o riciclaggio.

Da Renzi a Salvini

A Firenze l’indagine sulla fondazione politica Open, collegata a Matteo Renzi e ai fedelissimi dell’ex presidente del Consiglio, si è avvalsa di svariate segnalazioni per operazioni sospette. E non perché gli investigatori avessero tramato contro quell’ambiente politico, ma perché in quegli atti inviati dall’ufficio antiriciclaggio c’erano sospetti specifici: in una di queste per esempio erano emerse donazioni di imprenditori privati alla fondazione ed era anche emerso che uno di loro aveva prestato una somma a Renzi in persona per l’anticipo da usare per l’acquisto della casa di Firenze. Nessun reato farsi prestare soldi da un amico, è inopportuno che quei soldi arrivino però da un finanziatore del politico.

Le segnalazioni per operazioni sospette hanno permesso di scoprire anche molto altro, anche reati di una certa rilevanza. È il caso della Lega: nel 2018 L’Espresso rivelò che, attraverso un’associazione, Esselunga e il costruttore Luca Parnasi avevano finanziato il partito. La procura di Roma e poi quella di Milano avevano aperto un’inchiesta. Il processo di primo grado a Milano si è concluso con la condanna in primo grado di Centemero, a Roma è in corso sempre con la stessa accusa: finanziamento illecito al partito. Sos sono state utilizzate anche per la precedente indagine sui 49 milioni della Lega. Senza l’attività di monitoraggio dell’antiriciclaggio questa vicenda non sarebbe probabilmente mai emersa.

La reazione del potere

I partiti e i leader che usano il termine “dossieraggio” per la pubblicazione di notizie vere e documentate si affidano all’inchiesta di Perugia per provare a cancellare indagini e processi. Il tema delle Sos sarà sicuramente una delle questioni che i partiti di centrodestra porranno al centro delle prossime iniziative parlamentari. Non è difficile immaginare l’esito, vista la riforma della giustizia con la cancellazione dell’abuso d’ufficio fino al bavaglio alla stampa.

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