Ma quanti “mandanti esterni” ci sono per l'uccisione di Giovanni Falcone? Quanti lo volevano morto il giudice che ha fatto tremare per la prima volta la mafia siciliana? Le indagini sulla bomba Capaci s'inseguono, si sovrappongono, a volte s'incrociano e a volte si dividono.

Sugli “altri”, quelli che non sono i boss della Cupola, i Totò Riina e i Leoluca Bagarella, ci stanno dietro tutti. In ordine sparso, ma tutti. La procura di Caltanissetta, che è la titolare ufficiale delle investigazioni. Quella di Reggio Calabria, che è concentrata sulla “'ndrangheta stragista”. C’è la procura di Firenze che è partita dal massacro dei Georgofili del maggio 1993 e c'è quella di Palermo che smista pezzi di inchiesta “per competenza” di qua e di là. Ogni distrettuale ha la sua verità, i suoi pentiti preferiti, le sue piste. Con una procura nazionale che non riesce mai a tenerle a bada tutte perché, non sempre, prendono la stessa strada. Va avanti così da anni, da molti anni. Troppi.

Metodi d'indagine lontani

C'è una grande confusione sulle indagini sulle stragi. Forse è eccessivo definirla "guerra fra procure”, certo è che metodi d'indagine molto lontani fra loro non si fondono in armonia ma, al contrario, producono frizioni, mettono distanze, generano disorientamento.

A Caltanissetta procedono passo dopo passo con particolare attenzione ai depistaggi sempre in agguato. Prima il caso di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo che ha raccontato una valanga di fregnacce sui rapporti fra i Corleonesi e gli apparati dello stato. Poi il caso del pentito catanese Maurizio Avola con la sua grottesca ricostruzione dell'attentato di via Mariano D'Amelio: niente mandanti esterni, noi mafiosi abbiamo fatto tutto da soli. La procura di Firenze è in piena attività investigativa sui fratelli Giuseppe e Filippo Graviano in contatto con il senatore Marcello Dell'Utri (e di sponda con Silvio Berlusconi), così pure la procura di Reggio Calabria che in aggiunta ha i boss della 'ndrangheta coinvolti nel progetto stragista del 1992. Il cuore nero dello stato, i fascisti legati a servizi segreti incontrollati, spuntano in ogni spezzone d'indagine. E in alcuni casi le tracce sono evidenti e riscontrate. In altre meno.

Come nell’ultima inchiesta della procura generale di Palermo rivelata da "Report” . Sulla scena di Capaci ecco che viene immesso Stefano Delle Chiaie, un mistero italiano lui stesso. Ex del movimento sociale italiano, poi fondatore di Avanguardia Nazionale, formazione neofascista eversiva sciolta nel 1976. Delle Chiaie scomparso dai radar per moltissimo tempo è riapparso qualche anno fa, prima della sua morte, ricostituendo un movimento che si ispirava alla vecchia Avanguardia e andava a braccetto ultimamente con Forza Nuova romana, il partito di Roberto Fiore, coinvolto nell’assalto no Vax- no green pass alla Cgil del 9 ottobre 2021. Il fondatore di Avanguardia è morto il 9 settembre 2019, portando con sé nella tomba ogni segreto.

Dai massacri di piazza Fontana alla stazione di Bologna, latitante prima in Spagna e poi nel Cile del dittatore Pinochet, mai condannato per nessuna di queste vicende. Nel suo curriculum c'è anche il tentativo del golpe ideato dal generale Julio Valerio Borghese nel 1970, sfumato prima che le operazioni cominciassero. Intrighi che si saldano alla storia della ‘ndrangheta nella sua versione eversiva, i cui ideologi sono stati alcuni padrini che governavano e governano Reggio Calabria ancora oggi. Un altro neofascista come Franco Freda, leader di Ordine Nuovo, ha trascorso la latitanza a Reggio protetto dagli uomini della famiglia De Stefano, l’espressione massima della ‘ndrangheta. Freda fu processato e assolto per mancanza di prove nel processo sulla bomba a piazza Fontana del 1969. Nel 2005 la Cassazione ha affermato che la strage fu architettata da “un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo...capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura”, dichiarandoli però non più processabili. Freda ha sempre dichiarato la sua innocenza.

Sistemi Criminali

Il nome di Delle Chiaie non è nuovo nelle indagini dell’antimafia. Un’inchiesta conclusa con un’archivazione conosciuta con il nome di “Sistemi Criminali” lo indicava come uno degli architetti del reticolo di leghe meridionali che avrebbe dovuto staccare il sud Italia dal resto del paese, in pratica era il progetto al contrario dalla Lega Nord degli anni ‘80-90. Con Delle Chiaie tra gli indagati c’erano boss stragisti del calibro dei fratelli Graviano (coinvolti nelle stragi di mafia ‘92-94) e persino Licio Gelli, il capo della loggia P2. Il pm che aveva avviato l’indagine scrive nella richiesta di archiviazione che non è «sufficientemente provato che l’organizzazione mafiosa deliberò di attuare la “strategia della tensione” per agevolare la realizzazione del progetto politico del gruppo Gelli – Delle Chiaie, né che l’organizzazione mafiosa abbia approvato l’attuazione di un piano eversivo-secessionista per effetto di contatti col gruppo Gelli – Delle Chiaie».

Pista mafiosa e pista nera che s'incontrano un'altra volta: Giovanni Falcone era convinto che ad uccidere il presidente della regione sicialiana nel 1980 Piersanti Mattarella fosse stato il sicario dei Nucleo Armati Rivoluzionari Giusva Fioravanti, poi assolto dall'accusa di omicidio sino in Cassazione. Le ombre nere che tornano sempre. La puntata di Report le colloca addirittura su Capaci. Riprendendo vecchie piste, pentiti e confidenti di molti anni fa, tante cose note da tempo ma che finora non avevano mai portato a nulla di concreto.

È quello che fa intendere la procura di Caltanissetta nella in cui illustra le motivazioni della perquisizione nella redazione di Report. Uno dei pentiti citati dalla trasmissione, tale Lo Cicero, «sia nel corso delle conversazioni intercettate, che nel corso degli interrogatori da lui resi, non fa alcuna menzione di Stefano Delle Chiaie», scrive il procuratore Salvatore De Luca.

Chi avrà ragione? «Sono trascorsi moltissimi anni e i muri sono spesso insormontabili», dice amara un’autorevole fonte investigativa che lavora al dossier stragi. E le divisioni fra i pubblici ministeri certo non aiutano.

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