Quando si discute dell’attuale espansione del sistema capitalistico e definiamo tale fenomeno globalizzazione ci si dimentica spesso che abbiamo già assistito a una prima globalizzazione, quella che inizia nella seconda metà dell’Ottocento e si conclude con la Prima guerra mondiale e la crisi del 1929. Le due globalizzazioni, quella ottocentesca e quella attuale, hanno caratteristiche di fondo comuni e modalità ricorrenti che ci permettono di riflettere sull’attuale momento storico.

Alla fine dell’ottocento l’economia mondiale era altamente globalizzata. Dopo che i paesi europei avevano colonizzato Asia e Africa, le colonie erano diventate fornitrici di materie prime e allo stesso tempo mercati di sbocco per i prodotti dei paesi colonizzatori.

La rivoluzione industriale aveva permesso una drastica riduzione dei costi di trasporto e le economie si aprivano al commercio internazionale aumentando flussi di capitale e di forza lavoro. Questa diffusione del modo di produzione capitalistico provocò un aumento del tasso di crescita del reddito che non era neppure immaginabile nei secoli precedenti.

La nostra globalizzazione

Attualmente stiamo vivendo una seconda globalizzazione. La rivoluzione informatica degli anni Settanta, diminuendo drasticamente i costi di diffusione dei dati, è stato l’elemento propulsivo e gli Stati Uniti il paese protagonista.

Gli anni Novanta sono gli anni della grande euforia per la globalizzazione. La crescita mondiale è fortissima, il muro di Berlino è caduto, gli stati comunisti europei hanno abbracciato con grande fervore il capitalismo. L’avvio del processo di globalizzazione coincide con l’elezione di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli Stati Uniti; Thatcher e Reagan congiuntamente iniziano l’apertura e la liberalizzazione del mercato dei capitali, distruggendo così uno dei capisaldi del sistema nato a Bretton Woods.

Sia la prima che la seconda globalizzazione hanno aumentato enormemente l’interdipendenza economica tra i paesi. Questo fatto potrebbe far pensare che la globalizzazione determini una tendenza generale dell’umanità a sostituire il conflitto con la cooperazione.

Antidoto alla guerra?

In questo senso, come teorizzato da Norman Angell all’inizio del Novecento, la globalizzazione costituirebbe un antidoto alla guerra, in quanto, in un mondo globalizzato, lo scontro fra potenze comporterebbe un prezzo troppo alto da pagare in termini economici.

Pochi anni dopo scoppiò la Prima guerra mondiale che azzerò la prima globalizzazione. Negli anni successivi si determinò una completa frantumazione dei rapporti economici reali e finanziari fra paesi e un ritorno al protezionismo.

Secondo una visione meno ottimistica, il processo di globalizzazione determina gravi squilibri. Nella prima globalizzazione la drastica accelerazione nell’attività economica mondiale che partiva dalla Gran Bretagna costrinse le potenze periferiche come l’impero zarista, quello turco, giapponese e asburgico a intraprendere processi di modernizzazione che ebbero forme diverse ma che avevano il comune obiettivo di non perdere il contatto con la potenza più progredita, tentando di riformare sistemi che in gran parte vivevano ancora in strutture feudali.

Questi processi di cambiamento, avvenendo in paesi che non avevano strutture produttive e istituzionali adeguate, modificarono la distribuzione del reddito in modo regressivo, generando enormi tensioni sociali.

Gli effetti oggi

Oggi gli effetti squilibranti del processo di globalizzazione sono all’origine degli avvenimenti politico sociali culminati nella Brexit, nell’affermazione in Europa di partiti di destra anti globalizzazione, negli scontri commerciali tra Usa e Cina e nel peggioramento della distribuzione del reddito in quasi tutti i paesi.

Alcuni economisti avevano avvertito per tempo che il processo di globalizzazione era portatore di tensioni fra democrazia, sovranità e indipendenza economica e che avrebbe comportato un aumento del potere economico e politico delle imprese multinazionali rispetto a quello degli stati nazionali e una diminuzione dei livelli salariali.

Le due globalizzazioni hanno caratteristiche comuni: in entrambi i casi il processo è messo in moto da un avanzamento tecnologico che avviene nel paese più avanzato. Nella prima globalizzazione è la rivoluzione industriale inglese e l’Inghilterra è il paese egemone che garantisce l’estensione del processo, costringendo anche militarmente i paesi ad aprirsi al commercio internazionale (vedi guerre dell’Oppio e apertura del Giappone).

Il processo di globalizzazione attuale, partito dagli Stati Uniti con la rivoluzione informatica, costringe tutto il mondo ad adeguarsi. In questo processo crolla l’Unione sovietica, si consolida l’Unione europea, la Cina si apre al mondo e diventa la potenza antagonista degli Stati Uniti, mentre Africa e America Latina rimangono tagliate fuori.

La globalizzazione causa il crescere della diseguaglianza fra paesi e all’interno dei paesi. Nel processo si palesa una nuova potenza antagonista: nell’Ottocento è la Germania che sfida la potenza inglese, oggi la Cina che sfida la potenza americana.

Per questi motivi i conflitti aumentano. Come nel 1905 la guerra russo giapponese annuncia conflitti di maggior portata, così la guerra fra Russia e Ucraina evoca scenari non augurabili. La soluzione diplomatica è oggi fortunatamente ancora possibile e richiede il ruolo fondamentale dell’Europa.

© Riproduzione riservata