L’incidente che ha bloccato il canale di Suez per sei giorni, concluso ieri con la liberazione della nave Ever Given e ingenti danni per il commercio mondiale, ha rinnovato l’interesse per una delle opere che hanno rivoluzionato i trasporti delle merci, cambiando radicalmente l’assetto economico globale. In tempi di ingenti investimenti strategici destinati allo sviluppo per le future generazioni, la travagliata vicenda della costruzione del canale di Suez a metà del Diciannovesimo secolo offre alcune lezioni che possono essere utili anche oggi. Il canale è figlio di un’impresa economica e finanziaria fallimentare. La Compagnie universelle du canal maritime de Suez, fondata nel 1858, ha iniziato a sviluppare il progetto dopo che qualche anno prima il diplomatico francese Ferdinand de Lesseps aveva ottenuto una concessione per progettare l’opera. La strenua opposizione degli inglesi, che non volevano il canale per mantenere la loro posizione dominante sui commerci, ha reso complicato per il consorzio trovare i capitali e, sulle prime, le azioni sul mercato internazionale sono rimaste largamente invendute. C’è voluto l’intervento di una cordata di banchieri francesi per trovare i capitali necessari per avviare i lavori, ma anche al netto delle opposizioni strumentali e delle implicazioni geopolitiche dell’operazione, molti osservatori suggerivano che i costi di un’opera di incerta praticabilità sarebbero stati sproporzionati rispetto agli eventuali benefici.

Ci sono voluti dieci anni per realizzare la prima, rudimentale versione del canale, e il percorso è stato punteggiato da difficoltà tecniche e finanziarie tali da indurre anche negli sponsor più di un dubbio sulla sensatezza dell’idea. Alla fine il progetto è costato più del doppio rispetto a quanto preventivato. Eppure, una volta entrato in funzione, il canale di Suez ha cambiato il mondo. Oggi, come sappiamo bene dopo il recente incagliamento, transita da lì circa il 12 per cento del valore delle merci trasportate a livello globale.

Se i promotori del canale avessero saputo in fase di progettazione i reali costi dell’opera probabilmente avrebbero desistito, e la cosa sarebbe stata ragionevole dal mero punto di vista della sostenibilità e del ritorno sugli investimenti. Questo effetto è stato definito dall’economista Albert Otto Hirschman il principio della “mano nascosta”, da non confondere con la più nota mano invisibile. L’idea è che ignorare alcuni fattori fondamentali per prendere decisioni informate e razionali talvolta aiuta a portare a compimento progetti che danno benefici enormi, però spalmati nel futuro. Il traforo ferroviario del monte Hoosac, in Massachusetts, è stato un disastro dal punto di vista della progettazione, e se gli investitori avessero saputo quanto era friabile la roccia che dovevano scavare non avrebbero mai messo soldi nel progetto. Ma quel tunnel, che permetteva il passaggio delle merci dalla costa atlantica al Midwest, è stato una delle chiavi dello sviluppo degli Stati Uniti. L’opera è costata una quantità di tempo e risorse fuori scala rispetto al mero calcolo degli attori chiamati a decidere, ma una volta realizzata ha dato benefici incommensurabili.

Mani benevole e maligne

Occorre essere cauti nel generalizzare il principio della “mano nascosta”. Bent Flyvberg e Cass Sunstein, professori rispettivamente a Oxford e Harvard, hanno fatto un studio empirico sui benefici di oltre duemila progetti di sviluppo, concludendo che solo in un quarto dei casi davvero valeva la pena gettarsi in imprese a prima vista troppo onerose. Per i critici esiste una mano “benevola” che nasconde provvidenzialmente alcuni fattori e una mano “maligna” che semplicemente induce a fare scelte sbagliate. Il Recovery plan ci porrà di fronte a scelte strategiche fondamentali, il cui impatto andrà giudicato in rapporto ai benefici per le generazioni future, non soltanto alla praticabilità nel presente. Serve, insomma, quell’oncia di ambizione e di lungimiranza che permetterà di costruire nuovi canali di Suez, garantendo investimenti anche su progetti controintuitivi che potrebbero però cambiare il mondo di domani. Il principio della “mano nascosta” non può essere dimenticato in un momento in cui la realtà impone investimenti coraggiosi, non soltanto la conservazione dell’esistente. Ai governanti spetta il compito più difficile: distinguere fra la mano benevola che permette investimenti geniali e la mano maligna che induce allo spreco. Su questo si misurerà la qualità dei leader politici alle prese con il Next Generation Eu.

 

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