Il più grande investitore del mondo, l’amministratore delegato di Blackrock Larry Fink, ha detto al Financial Times che dovremmo preoccuparci più dei prezzi del cibo che di quelli del petrolio. In realtà, i due prezzi sono legati: tra le ragioni che spingono i prezzi del cibo, oltre agli effetti della guerra in Ucraina, c’è l’alto costo dell’energia.

Guardarli insieme ci dice una cosa non ovvia: i mercati si stanno preparando al rischio recessione, che è la battaglia di domani, mentre la battaglia di oggi – l’inflazione – non è affatto stata vinta. 

Il prezzo del petrolio sta tornando a scendere, il Brent era arrivato sopra i 122 dollari al barile ancora poche settimane fa, ora va verso quota 100 dollari. Certo, siamo lontani dai 22-25 dollari durante la pandemia, ma l’inversione di tendenza c’è. 

La Fao, l’organizzazione dell’Onu che si occupa di cibo, calcola degli indici che permettono di monitorare l’andamento dei prezzi dei beni agricoli di prima necessità. D qualche mese hanno iniziato a scendere, dopo il picco di inizio 2022: il Food Price Index a giugno è sceso del 2,3 per cento rispetto al mese precedente, anche se è ancora superiore del 23,1 per cento rispetto a un anno fa. L’indice del prezzo dei cereali è sceso del 7,2 per cento (ma è sopra del 48,5 rispetto al 2021).

Poiché la domanda di cibo e benzina non varia molto in base alle preferenze individuali – tutti mangiamo e ci spostiamo più o meno sempre nello stesso modo – l’unica ragione per cui la domanda può contrarsi è che si vendano meno auto, che chi ha soldi solo per sfamarsi perda il lavoro e non ci riesca più. Le tipiche cose che succedono in una recessione.

L’atterraggio

Secondo un calcolo della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) basato sugli ultimi decenni e sull’analisi di situazioni simili a quella attuale, il Pil delle economie avanzate dovrebbe scendere tra l’1,6 e il 2,3 per cento per riportare l’inflazione vicino all’obiettivo che si danno le banche centrali (per la Bce è circa il 2 per cento annuo). Ma se i prezzi dell’energia tornassero normali, la contrazione potrebbe essere  tra lo 0,4 e l’1,6 per cento.

Si tratta comunque di una frenata molto brusca, dalle conseguenze sociali poco piacevoli, visto che paesi come l’Italia stanno ancora crescendo abbastanza, grazie al rimbalzo post-Covid. La crescita prevista per l’Italia nel 2022 è il 2,9 per cento, e lo 0,9 nel 2023. 

Si può evitare questo atterraggio violento? Secondo la Bri, almeno limitare i danni è possibile: se le banche centrali alzano in maniera decisa e ravvicinata i tassi di interesse (come farà la Bce giovedì), l’impatto sul Pil è minore che se spalmano la stretta su un tempo più lungo.

I governi cosa possono fare? La direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva, ha indicato tre priorità per “navigare nel mare dei problemi”.

Al primo posto c’è una politica monetaria restrittiva che sia decisa e rapida ma soprattutto prevedibile: bisogna “ancorare le aspettative”, cioè permettere a famiglie, imprese e investitori di avere chiaro quale sarà il (grigio) futuro e adattarsi di conseguenza.

Aspettative sbagliate ridurrebbero l’efficacia della stretta monetaria rendendo necessari altri interventi evitabili.
Secondo: la politica fiscale deve aiutare gli sforzi delle banche centrali, non contrastarli. Interventi di bilancio a saldi invariati – niente “scostamenti di bilancio” e nuovo deficit – altrimenti la spesa per interessi si mangia i benefici e l’aumento dei tassi zavorra la crescita, e poi misure di supporto temporanee a famiglie e imprese, non strutturali.

Meglio i trasferimenti di denaro che i sussidi, cioè bene il bonus da 200 euro all’italiana, male gli interventi fiscali che riducono il prezzo della benzina. I primi danno sostegno ma ricordano che si tratta di una cosa temporanea e non innescano la spirale prezzi-salari. I secondi danno l’impressione che i prezzi siano più bassi di quello che sono e costringono le banche centrali a ulteriori strette.

Terza raccomandazione: salvare la globalizzazione e la cooperazione internazionale che, con tutti i loro difetti, sono state forze che molto hanno inciso sulla discesa dei prezzi in questi decenni. I paesi poveri sono molto esposti a shock di prezzi (energia, alimentari) ma anche di tassi di cambio e quindi interessi sul debito (vedi crisi in Sri Lanka). Possiamo scegliere se aiutarli o abbandonarli e prepararci all’ennesimo esodo di migranti. Non è un bel momento per l’economia mondiale, ma spetta a noi stabilire se sarà brutto o terribile, prima di una ripartenza.

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