Quando si ha l’intenzione di toccare in maniera penale certi argomenti bisogna sempre muoversi con cautela, perché di mezzo ci sono i valori assoluti. L’oggetto della questione è il tentativo di equiparare le “foibe” (inserisco le virgolette perché il termine è riduttivo, se non improprio per quello che sottende) e la Shoah, accomunandoli attraverso il reato del negazionismo. Tale richiesta è nella proposta di legge, che a breve verrà discussa in Senato, del capogruppo di Fratelli d’Italia Luca Ciriani. Quest’ultimo ha proposto di inserire nell’articolo 604 bis del codice penale, che istituisce il crimine del negazionismo, oltre alla Shoah anche i «massacri delle foibe».

La Shoah, come tutti gli eventi umani, può essere misurata e analizzata, e quindi può essere anche comparata. Io stesso consiglio agli insegnanti di spiegare il genocidio degli ebrei paragonandolo ad altri eventi simili, per evitare la banalizzazione. Ma le comparazioni devono essere fatte usando i giusti criteri, altrimenti il rischio è proprio quello di ridurre e infine negare l’evento Shoah.

Le “foibe” e la Shoah non hanno nulla in comune, se non l’essere genericamente due crimini contro l’umanità. Metterli sullo stesso piano equivale a entrare in un percorso di negazione: se si introducesse in questa maniera il reato di negazionismo delle “foibe” si finirebbe per alimentare il già diffuso negazionismo sulla Shoah, perché si va a limitare il suo valore assoluto, il fatto che sia un crimine senza precedenti nella storia dell’umanità.

L’intento politico è chiaro: equiparando “foibe” e Shoah, nell’immaginario collettivo si mettono sullo stesso piano il nazismo e comunismo; con l’obiettivo di omogenizzare tutti gli eventi della Seconda guerra mondiale. Si rende così la storia del cosiddetto “secolo breve” una poltiglia dove tutti sono stati indistintamente buoni e cattivi.

Rinnegare senza abiurare

Le “foibe” adesso, i libri di Giampaolo Pansa prima, sono la via italiana delle destre nazionaliste europee che vogliono riabilitare la loro storia senza abiurarla, un metodo per ripulire l’armadio dagli scheletri del nazifascismo. Anche perché in Italia le abiure, come quella tentata da Gianfranco Fini, portano alla riduzione del loro consenso elettorale.

Questo vento soffia in tutt’Europa: dalla Russia di Putin alla Francia della Le Pen, dalla Germania dell’AfD di Meuthen, Weidel e Chrupalla alla Polonia di Morawiecki e Kaczyński, senza dimenticare l’Ungheria di Orbán, solo per citare i più famosi.

Dietro a queste battaglie sul passato ci sono conquiste sul presente, in primo luogo l’Europa con i suoi valori, dal multiculturalismo, ai diritti alle donne e agli omosessuali, l’accoglienza agli immigrati, lo stato laico, ma ancor di più la libertà d’opinione, d’espressione e di ricerca. Le radici antifasciste d’Europa sono messe a dura prova. La battaglia è quindi a tutto campo, si veda anche il recente attacco allo storico veneziano Simon Levis Sullam: l’aver ironicamente commentato il fatto che qualcuno ha capovolto a testa in giù la copertina del libro di Giorgia Meloni, è stato innalzato a gravissimo reato d’opinione o peggio un’istigazione all’odio verso la Meloni stessa. Mentre invece, sulle “ironie” di Pio e Amedeo su ebrei, negri e froci (usando il loro linguaggio), la stessa Meloni ha solidarizzato con i due comici contro il politically correct.

Lo stesso sta accadendo a Eric Gobetti dopo il suo libro E allora le foibe?, come pure pesanti critiche sono arrivate agli storici appartenenti all’Istituto regionale per la storia della resistenza e dell’età contemporanea nel Friuli-Venezia Giulia. Abbiamo visto in altri paesi a quali conseguenze portino questo tipo di leggi: verità di stato precostituite, processi agli storici, inquinamento delle relazioni internazionali, nonché una riduzione delle libertà d’espressione e d’opinione.

Nel 2014 ho contribuito a realizzare a Rimini, la mia città, una tra le prime in Italia, il monumento per la Giornata del ricordo, consapevole che quella pagina della storia, quella delle foibe, debba essere affrontata senza timori, la via migliore per cercare di sanare le ferite di un tempo. Non si è voluto realizzare un normale monumento, ma una biblioteca di pietra, creata con una felice intuizione dall’artista riminese nato a Fiume, Vittorio D’Augusta, affinché chiunque visiti quel luogo possa ispirarsi per trovare scritti di tutte le nazionalità che raccontino le vicende di quelle travagliate terre.

Con la medesima convinzione, sostengo che per formare una memoria che tenga conto delle sofferenze di tutte le parti in causa, questa discussione deve essere tolta dal piatto della propaganda e dall’uso politico della storia.

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